12 agosto 2017. “Terre di laghi” – 4 passi per le Alpi tour

12 agosto 2017. “Terre di laghi”

Tappa 7: Chiavenna (SO) (325m s.l.m.) – Luino (VA) (200 m s.l.m.). Distanza 110 km.

Sapendo quanto ci vuole in Macchina da Luino a Chiavenna, mi rendo conto che sarà lunga. Ma iniziamo tardi perché passiamo al birrificio Spluga di Chiavenna a salutare il proprietario che Cits conosce in quanto grande frequentatore e amante del prodotto locale. Chiacchieriamo a lungo, ma niente birra, solo caffè! Poi siamo pronti per coprire questa tappa che inizialmente viaggia bella filata lungo la ciclabile che da Chiavenna, anzi Gordona, ci porta fino al lago di Mezzola.

Oltrepassato il cosiddetto “pian di Spagna”, ovvero una bella area umida che divide il lago di Mezzola dal lago di Como, iniziamo a pedalare lungo il lato occidentale del Lario. Attraversiamo i bei paesi rivieraschi quando, a Gravedona ad un semaforo, incrociamo il Bets, il compagno di banco storico di Cits ai tempi del liceo. I due si erano sentiti, ma non di certo si erano dati appuntamento in prossimità di Gravedona, a pochi passi da casa della mamma di Bets. Questa coincidenza astrale si condensa in una pausa caffè a casa della Bets-mamma con una splendida vista lago.

Riprendiamo la pedalata e scopriamo tanti begli scorci lungo la vecchia Strada Regina, ormai in disuso se non per i ciclisti. Raggiungiamo Menaggio ed è il momento di salire i tornanti verso Porlezza e valicare un altro spartiacque. Con somma sorpresa, c’è un pista ciclabile meravigliosa che inizia inaspettatamente ad un tornante e sale fra boschi lontano dal traffico. Continuiamo il tragitto ciclabile veramente ben fatto fino a Porlezza e ci buttiamo su strada.

Arriviamo ad attraversare nuovamente il confine Italia – Svizzera a Gandria, dove ci mangiamo la salita con nonchalance fino ad arrivare a Lugano. In città ci fermiamo a riempire le borracce, Cits girandosi trova un volto familiare: “Uè ciao, che ci fai tu qua?”. È Federico Morlacchi, atleta di nuoto paraolimpico nonché concittadino di Luino. Ma come diavolo si conoscono, ma soprattutto, quante possibilità ci sono di incontrarsi lontano dal contesto delle piscine milanesi mentre fai un tour in bicicletta? Spiegati i misteri, salutiamo il campione augurandogli il meglio per i prossimi mondiali mentre noi continuiamo attraversando Lugano.

“Questa è l’ultima salita” è un ritornello ripetuto troppe volte da qui fino a Luino. Ma ormai il traguardo è vicino, e l’aria dei posti che conosco a memoria mi galvanizza dandomi lo sprint per gli ultimi kilometri. Alle 17:30 arriviamo a Luino a casa Sai e il comitato di accoglienza è tanto caloroso quanto numeroso: fratelli, cognate/i e nipoti riempiono la casa e il tutto non può che terminare con una sonora mangiata. Come ho fatto io per portare la bici a Milano, Cits chiuderà l’anello tornando all’ombra della Madunina lungo il Verbano, il Ticino e il Naviglio Grande, mentre io mi potrò finalmente riposare dopo questa felice fatica.

 

Abbiamo: percorso 590 km in una settimana, coperto un dislivello totale di circa 8000 metri a salire e altrettanti a scendere (secondo Google), valicato 4 passi (Mortirolo, Stelvio, Resia, Maloja) più altri due (Martina e da Porlezza a Menaggio), incrociato importanti fiumi (Adda, Serio, Oglio, Adige, Inn, Mera), dormito ospiti per 3 volte, 2 notti in tenda e in altrettante in strutture alberghiere, bruciato migliaia di calorie e ingerite il doppio, conosciuto nuove persone e rivisto facce amiche, sofferto il caldo ed il freddo, pedalato in 3 stati diversi, ascoltato storie e raccontate, salutato centinaia di ciclisti sconosciuti, visitato luoghi e riscoperto che la lentezza non è una cosa negativa.
Il cicloturismo è, senza dubbio, uno stile di vita ed è bello avere la fortuna di poterlo praticare. La gioia che si prova nello scrivere un diario di viaggio è superata solo da quella che si ha nel rileggerlo a distanza di tempo. Grazie a Cits per essere un compagno di viaggio impeccabile sempre pronto a nuove sfide e per avermi iniziato a queste belle avventure in bicicletta. Alla prossima!

by Fabio

11 agosto 2017. “Maremma Maloja” – 4 passi per le Alpi tour

11 agosto 2017. “Maremma Maloja”

Tappa 6: Cinuos Chel (CH) (1650 m s.l.m.) – Chiavenna (SO) (325m s.l.m.). Distanza 80 km.

Contro ogni aspettativa, ci svegliamo vivi. Nel senso che la notte ha fatto talmente freddo che nei vari risvegli per brividi ho pensato che non avrei rivisto il mattino fino a nuovo disgelo. In una frizzante mattinata bella umida a 5°C, facciamo colazione ospiti di una famiglia allargata della Svizzera interna, dove la mamma è ligure e si vede che aveva una gran voglia di parlare italiano.

Ripartiamo e per la prima volta sono felice di iniziare in salita, almeno ci scaldiamo.

Il sole fa capolino fra le nubi e tutto diventa felice! La ciclabile prosegue nella bella valle dell’Inn fino a che dei lavori ci fanno deviare sull’argine del fiume. Nel senso che il fiume era proprio sotto, e noi con bici non adatte a terreno fangoso con erba bagnata abbiamo fatto fatica a stare in piedi. Infatti, guadagnato nuovamente l’asfalto, ci guardiamo dicendo entrambi: “bello l’Inn, ma col cavolo che lo rifarei!”. Scopriamo infatti che prima io, poi lui, siamo caduti in momenti diversi ma con la stessa modalità: ruota nella striscia che divide erba e terra e oplà! Rischio di finire nel fiume: altissimo.

Arriviamo a St. Moritz e inizia del buon controvento per tutto il Silvaplana, mentre vediamo che all’orizzonte nubi si addensano sul Maloja. Ciononostante i laghi sono bellissimi ed è veramente particolare vedere gente che fa windsurf con lo sfondo dei ghiacciai. Raggiungiamo il passo a 1850 m s.l.m. e il tempo fa schifo ma non piove ancora. Inizia subito dopo i primi tornanti che affrontiamo almeno all’asciutto (meno male). Ma la pioggia è proprio insistente ed è tutto in discesa, quindi: freddissimo e gocce in faccia come aghi. Andare piano allunga la sofferenza, andare troppo forte è doloroso. Con molto strazio arriviamo in Italia, la priorità è trovare un posto asciutto e caldo, dove mangiare e passare anche la notte.

Al primo tentativo ci volevano far mangiare all’aperto sotto il tendone con la pioggia (noi fradici), al secondo non ci hanno minimamente considerato, al terzo ci han fatto girare le ruote e finalmente, ormai a Chiavenna, troviamo un supermercato mentre ha smesso di piovere ed è pure tornato il sole.
Troviamo sistemazione all’unico ostello (Al deserto) e ci riposiamo direttamente per la cena, dove? Ai crotti ovviamente!
Ci rifocilliamo con i pizzoccheri chiavennaschi e la pioda, dopodiché veniamo raggiunti da Santino, un mio compagno ai tempi dell’università a Pavia. Passiamo la serata con gran chiacchiere su temi di metalmeccanica e memorie pavesi accompagnate da buone birre, ci volevano!

by Fabio

10 agosto 2017. “Attraverso tre nazioni, alla faccia delle barriere” – 4 passi per le Alpi tour

Tappa 5: San Valentino alla Muta (BZ) (1450 m s.l.m.) – Cinuos Chel (CH) (1650 m s.l.m.). Distanza 85 km.

Anche oggi sveglia alle 7, dopo una notte in cui la pioggia ha raffreddato il clima. Sbuchiamo dalla tenda per trovarci in un surreale scenario tipo “benvenuti a Twin Peaks”, con freddo, tutto umido, pini e un sole pallido che fatica a bucare la coltre di nebbia a banchi. Sbaracchiamo il campo. Colazione, subito, presto! Ma in Tirolo, fanno gli spocchiosi e il classico caffè del mattino al bar non esiste da nessuna parte, o perché i bar sono chiusi (macheccazz…) o perché gli alberghi non lo servono. Dominic, voce della verità, commenta con un categorico “they don’t like Italians, do they?”. Come dargli torto? Ci prendiamo anche un rimprovero da un indigeno perché avevamo appoggiato le bici al muro scalcinato del suo albergo. Vabbè!!!

Pedaliamo senza caffeina con molto disturbo finché, costeggiando il lago Resia, giungiamo al famoso campanile sommerso. In maniera molto lungimirante, quando hanno creato l’invaso artificialmente (eh sì, c’è una diga anche qui) non hanno abbattuto proprio tutto il villaggio di Curon. Tenendo in piedi il campanile hanno creato un punto turistico molto suggestivo a costo zero. Diceva un vecchio saggio (Cits): “avevano quasi fatto un bel lavoro … gli è avanzato il campanile!”.

Terminato il lago, affrontiamo il passo Resia a 1504 ms.l.m. senza effettivamente accorgercene date le pendenze molto dolci, fatto sta che improvvisamente inizia una discesina che si apre sulla vallata tirolese che porta verso l’Austria. La giornata soleggiata e il declivio ci permettono di godere appieno del bel paesaggio alpino dove le caprette fanno ciao. Al grido di “siamo migranti!!!!”, attraversiamo il confine con l’Austria in corsia preferenziale per bici e pure in discesa, tiè. Arriviamo a Nauders, e prendiamo le indicazioni per St. Moritz, dove una salitina ci porta ad attraversare un ulteriore spartiacque (passo Martina) che ci porta nel bacino del Danubio, e precisamente nella valle dell’Inn, ovvero Engadina. Una splendida discesa ci porta ad un’altra dogana, quella di Martina fra Svizzera e Austria.

Siamo nel cantone dei Grigioni e mi sento più a casa che in Sudtirolo. Abbiamo perso un bel po’ di quota e siamo ora a 1035 metri. Ora si costeggia l’Inn che scorre impetuoso e carico per via dello scioglimento delle nevi a volte fra dirupi, a volte in fitti boschi. Sosta cibo a Scuol, con il buon Dominic che ci offre dei caffè in quanto ora siamo nel suo Paese e noi siamo gli ospiti. Ripartiamo che si mette a piovere, ma con un discreto culo, riusciamo a pedalare sufficientemente veloci da lasciarci l’acqua alle spalle e ritrovare spiragli di sole. Con salite e discese arriviamo a Zernez, dove Dominic ci saluta per prendere il treno e ritornare a Basilea. Lasciato un cicloturista ne troviamo un altro, un tedesco che da Monaco di Baviera è diretto a Nizza. Come dice un vecchio saggio (Cits): “se pensi che tu stia facendo qualcosa di fuori dall’ordinario, c’è sempre qualcuno più pazzo di te”.

È ancora presto e abbiamo ancora le gambe per andare oltre, sappiamo ci sono dei campeggi sulla strada e non sarebbe male portarsi avanti. Rinforchiamo i velocipedi e lesti lesti andiamo avanti. Si mette a piovere con il vento sfavorevole e abbiamo già fatto almeno 2/3 km in salita che per la legge del risparmio energetico non è proprio il caso di sprecare tornando indietro. Bagnati e infreddoliti, arriviamo a Cinuos Chel in un campeggio molto basic sotto un’incessante pioggia. Almeno le docce sono calde.

Ad un orario tipicamente svizzero, le sette meno un quarto, andiamo a mangiare. Ma bisogna tornare al paesello, distante un kilometro. Chiediamo il passaggio ad una coppia di ticinesi di Montagnola, praticamente vicini di casa, che ci lasciano davanti al ristorante. Dentro ci sediamo al tavolo con un ragazzo di Bergamo che parlava in bergamasco con lo svizzerissimo titolare, bestemmie intercalanti incluse. Che strano quadretto. Mangiamo i tradizionali capuns (da provare nella vita) e delle ottime zuppe scalda ossa, mentre il titolare ci intratteneva mostrandoci la raccolta fotografica di sette anni di caccia con la famiglia in cui ha sterminato la fauna alpina.
Era estasiato da quei ricordi di caccia e dai bei momenti passati con la compagnia del testosterone finché, notando una foto di una bella spiaggia marittima, gli chiediamo di spiegarci. “Eh, questo è mio figlio che un giorno ha detto: papà basta con la caccia. Ma come non ti piace stare qui in baita in 18 maschi a fare le battute e cacciare i cervi? No, questo è il mio ultimo giorno, domani me ne vado. Poi la sera dopo mi manda questa foto dal mare, io penso abbia trovato una qualche donna o cose così. Secondo me ha solo cambiato tipo di caccia”.
Date una medaglia a quest’uomo.

by Fabio

 

9 agosto 2017. “La meta d’alta quota: lo Stelvio” – 4 passi per le Alpi tour

Tappa 4: Le Prese (SO) (920 m s.l.m.) – San Valentino alla Muta (BZ) (1450 m s.l.m.). Distanza 85 km.

Per la prima volta puntiamo la sveglia alle 7, non per altro, ma la tappa è lunga e abbiamo una salitina da 1800 m di dislivello. Ci congediamo con Ippolito con cui scambiamo sinceri sorrisi, con un po’ di amaro in bocca perché chissà quante altre cose avrebbe voluto raccontarci e che noi avremmo volentieri ascoltato. Dopo l’ennesima foto all’asta idrometrica di Le Prese (è un must, devo fare le foto alle stazioni di monitoraggio Arpa da mandare agli ex-colleghi, e per loro è un indovinello che riescono sempre a risolvere), pedaliamo subito per vincere uno scomodo dislivello.

Incontriamo Ippolito con il pick-up, che si è fermato per offrirci un passaggio almeno per portarci a Bormio dove inizia la salita vera e propria. Gentilmente decliniamo per ovvi motivi di testosterone, e lui apprezza il nostro slancio sportivo. D’altronde, come potevamo dire di sì dopo che ci ha raccontato tutte le sue imprese? Continuiamo e raggiungiamo il termine di questa primo strappo di buongiorno. Sulla nostra sinistra, illuminato dal sole, si apre il fianco della montagna squarciata dalla frana della Valpola del 1987, quella che ha fatto un sacco di disastri e provocato diversi morti. È incredibile come nei nostri ciclotour, Cits e io ci ritroviamo sempre fra fiumi, frane e impianti idroelettrici. Suggestiva e particolare è la vista dell’immensa area franata, illuminata da un raggio di sole e contornata dalla bruma che si alza dalle conifere intorno, immobile nel silenzio del mattino. Ci riprendiamo al passaggio di un camion.

Seguendo la bella ciclabile lungo l’Adda, pedaliamo fino a Bormio dove ne approfittiamo per drogarci di caffè. E poi via! Inizia la salita motivata da una gigantografia del profilo altimetrico della tappa dell’ultimo giro d’Italia passato proprio da qui. Il sorriso si ridimensiona alla vista del cartello “40° tornante, 1225 m s.l.m”. Ecco, sapendo che i tornanti si contano facendo la discesa e che il passo è a 2758 m di quota, diciamo che ci aspetta una bella fatica! Ma siamo qui per questo, d’altronde.

Saliamo discretamente bene e sono già passati 5km di salita, quando in una delle pausette che ovviamente ci concediamo, vediamo arrivare un ciclista in solitaria con le borse. La sorpresa di vedere finalmente un altro pazzo con ulteriori pesi ci fa felice e lo incitiamo. Ma lui si ferma, non aveva capito, infatti è svizzero e attacchiamo a parlare in inglese. Si chiama Dominic ed è di Basilea. Ci dice che si era accampato la notte un paio di curve più sotto, e che ha dormito sotto la tempesta con un ventaccio che gli piegava la tenda.

Riprendiamo a salire insieme e giungiamo, dopo una serie di gallerie, ai piedi del famoso versante sede di una spettacolare serpentina stradale con 14 tornanti consecutivi, che, casualmente, coincide anche con tratti di elevata pendenza. Teniamo duro e passiamo quota 2000 metri. Festeggiamo fermandoci in una baitina aperta dove ordiniamo delle birre per reintegrarci. “Really?” (davvero?). Chiede stupefatto Dominic. “Oh uncle! We’re more tourists than cyclists!” (oh zio! Siamo più turisti che ciclisti!).

Messe in chiaro le nostre intenzioni, riprendiamo la pedalata mentre il vento diventa insistente, portandosi con se del freddo sempre più rigido. Sarà stato per queste cose, piuttosto che per l’aria più rarefatta, o semplicemente perché per noi sono 35 km in salita con 1800 metri di dislivello, ma gli ultimi tornanti sono stati veramente veramente duri. Ma alla fine la gioia di arrivare in cima, su questa cima, è una cosa che mette da parte ogni disperazione. Siamo a 2758 metri di quota e siamo al Passo dello Stelvio! Ci siamo riusciti! Tutto intorno il circo che si addice ad un posto tanto preso di mira da ciclisti, motociclisti e, purtroppo, anche da automobilisti.

Un sacco di bancarelle e ristori, funivie che portano al ghiacciaio Livrio. Incontriamo la suocera di Manuela, che ci aveva detto di andare a trovarla, e così facciamo prendendo anche qualche doveroso ricordo. Con il magico sfondo dei ghiacciai del gruppo Ortles-Cevedale, praticamente alla nostra stessa quota, finalmente iniziamo la discesa! In una pazzesca serie di tornanti e pendenze più elevate di quelle del lato da cui siamo saliti, ci lanciamo a capofitto per 26 km perdendo quota fino ai 915 metri di Prato allo Stelvio. E siamo in Val Venosta.

La nostra meta è l’area campeggio verso il passo Resia, per cui dobbiamo, ahimè risalire fino a 1450 m. Ma non prima di aver visitato Glorenza (uno dei borghi più belli d’Italia, secondo le guide). Purtroppo, da questo momento, lo sfinimento per le energie usate mi ha messo in crisi nera per arrivare a destinazione. Con una parolaccia facevo solo 200 metri. Una media scandalosa. Con un’estrema lentezza, seguendo il corso turbolento dell’Adige, arriviamo a San Valentino alla Muta accolti dalla pioggia. Non proprio il meritato riposo, visto che dobbiamo sistemarci per la notte con la tenda in un campeggio dove il titolare non voleva farci nemmeno mettere perché pieno. Nonostante questo troviamo il nostro spazio e con Dominic andiamo a nutrirci in un ristorantino dove sia noi, che lui, ascoltavamo incuriositi il cameriere parlare con il tipico accento tirolese, ora in italiano, ora in tedesco.

Il tappone è fatto, da domani, nulla ci può impensierire!!

by fabio

8 agosto 2017. Laghi di Cancano e terme – 4 passi per le Alpi tour

8 agosto 2017. “Laghi di Cancano e terme”
Tappa di riposo.
Prima di intraprendere qualsiasi altra salita impegnativa (tipo lo Stelvio) abbiamo pensato fosse savio spezzare un attimo l’attività intensa con del relax. Per cui, su consiglio di Matteo, abbiamo imbarcato le bici sul bus a Le Prese e siamo sbarcati a quota di poco inferiore a 2000 m s.l.m. presso i laghi di Cancano e San Giacomo nella valle di Fraele. Questi laghi ad alta quota altro non sono che degli invasi artificiali in gestione A2A per produrre un sacco di energia idroelettrica in una centrale posta poco distante da Bormio. In questa cornice alpina caratterizzata da alte montagne con rocce scure e poca vegetazione, si estendono le superfici dei laghi con i loro colori glaciali e qualche conifera a fare da contorno.

Pedaliamo, in pianura, intorno ai laghi per un’oretta, dirigendoci verso lo sbocco della valle che strapiomba sul versante della Valdidentro in una emozionante serpentina di curve presidiata dalle antiche torri di Fraele, baluardo difensivo di Bormio posto in quel luogo allora difficilmente accessibile, che si ergono solide e sontuose.

Poco prima di arrivare a Bormio, facciamo una doppia dose di terme: prima le pozze pubbliche, che sono ricavate dalle stesse acque termali ma più a valle degli stabilimenti, e qui ci riposiamo una buona mezz’ora. Poi svoltiamo per prendere la statale dello Stelvio e fare un accenno della salita che domani ci aspetta impietosa, oggi solamente per 3 km fino ai Bagni Vecchi di Bormio, pagati con valuta corrente e discretamente onerosa, ‘tacci vostra. In questa lussuosa location ci immergiamo in tutte le cascatelle, piscine, saune, terme, pozze e docce possibili, nella speranza che le nostre (mie) povere gambe si riprendano di tono.

Terminato il trattamento, ci dirigiamo in Bormio downtown per una birra. Veniamo raggiunti da Manuela, una mia amica dei tempi dell’uniPavia per la quale sembra che il tempo non sia passato. Chiacchierando scopriamo che Manu ha fatto un corso di russo la cui insegnante è stata Francesca, quindi oltre alle 1000 medaglie, parla anche russo!! La cosa bella di andare in giro è che si ha spesso buone chance di rincontrare persone che hanno fatto parte dei nostri cammini, oltre ovviamente al fatto che se ne conoscono delle altre che magari conoscono delle altre che conoscono le stesse che qualcun altro conosce. Così si chiude il cerchio!

Chiacchierare è bello, ma distoglie l’attenzione e noi siamo in bici a 20 km da Le Prese con il buio che incombe e i ristoranti che chiudono. C’è un’unica soluzione: oggi facciamo una cronometro. In 35 minuti netti siamo al ristorante “Alpina”, che fa degli sciatt che non vi sto a spiegare, tant’è che per me e Cits, il paese di “Le Prese” è stato rinominato in “Le Cene”.

by Fabio

7 agosto 2017. “A salire il Mortirolo mi diverto un Monno” – 4 passi per le Alpi tour

Tappa 3: Capo di Ponte (BS) (360 m s.l.m.) – Le Prese (SO) (920 m s.l.m.). Distanza 60 km.

L’ottima pista ciclabile della Valcamonica ci tradisce, obbligandoci prima a fare del mountain biking nella selva, poi lasciandoci appiedati fra un guard rail e la ferrovia. Scavalcata la recinzione con le bici, ci buttiamo in strada principale e da lì proseguiamo.

Giungiamo a Malonno, da questo momento in avanti niente più pezzi in pianura fino al passo del Mortirolo. La salita vera e propria inizia dal bivio della SS42 del Tonale verso Monno (ecco spiegato il titolo). Nonostante le pendenze siano molto più abbordabili rispetto alla salita dal lato valtellinese, avendo le borse e un fisico non proprio da ciclista, l’ascesa non è comunque facile. Ma non ci importa. Stiamo per affrontare una delle salite cult del Giro d’Italia, che hanno elevato a gloria campioni come Pantani con cui noi condividiamo solamente la bandana e fra qualche anno magari la pelata.

Il paesaggio si tinge di alpeggi che cominciano a riempire i versanti delle montagne, si continua a salire tutto sommato bene nei tratti a pendenza 7%, mentre oltre, il caro rampichino, fuga ogni patema. Un falsopiano ci avvisa che siamo quasi giunti agli ultimi 3 km di salita, dove 11 tornanti consecutivi ci fanno arrampicare con pendenze superiori al 10% che tuttavia non ci impediscono di ammirare il bel paesaggio intorno. In questi frangenti immagino ali di folla che accompagnano i campioni nelle loro fughe solitarie e le immagini che alla televisione mi emozionavano quando il bel ciclismo tricolore riempiva i miei pomeriggi dopo scuola. Trionfalmente giungiamo in cima al passo e la salita termina a 1852 m s.l.m. Foto di rito e ritorno sui nostri passi per qualche centinaio di metri per giungere ad un bel ristorantino che avevamo visto salendo. Pizzoccheri E polenta e cervo per me, piode di Monno (piatto tipicissimo) e formaggi per Cits. Anche la pancia vuole la sua parte. Essendo la tappa discretamente corta e non avendo fretta, ci pennichelliamo per un po’. Riposati a sufficienza, ripassiamo per il passo la seconda volta in un giorno incredibilmente freschi e veloci, tant’è che sento altri ciclisti che, avendoci visti così aitanti e scappati di casa, commentavano con “quella è pedalata assistita”.

Nel secondo passaggio, notiamo due operai che lavorano alla nuova stele rappresentativa della sommità del passo, con grafica “Mortirolo” tutta nuova e fresca di montaggio. Una ghiotta occasione per una foto, con la fortuna di essere i primi ciclisti a farla. Per cui ogni volta che la vedrete, sappiate che io e Cits ci possiamo vantare di essere stati fra i primissimi.

Ma ora arriva il bello: finalmente discesa! Una spettacolare strada ci fa perdere circa 1200 m di quota fino a Grosio in Valtellina dove ci attende molto caldo e pochi km fino a destinazione. Cambiamo valle e ritroviamo l’Adda nella sua versione sopralacuale, con la pista sponsorizzata A2A che corre lungo le sponde.
Arriviamo a Le Prese. Per due notti saremo ospiti di Matteo e Francesca, amici di Lola che ha un networking invidiabile e ci ha aiutato a trovare una sistemazione valtellinese. In particolare dormiremo nell’appartamento temporaneamente lasciato libero di Francesca, tutto per noi.

Veniamo accolti da Francesca e i suoi genitori, Franca e Ippolito, che ci mettono subito a nostro agio con una bella tazza di tè, biscotti e delle simpatiche chiacchiere dalle quali emerge subito che siamo finiti in una famiglia di eccellenti sportivi e intraprendenti persone. Oltre ai 1000 trofei di Ippolito (ottant’anni portati benissimo e i bicipiti più grandi dei miei), ci sono da aggiungere almeno gli altrettanti di Francesca in anni di carriera divisa fra ginnastica artistica, atletica, podismo, sci e chissà cos’altro. Ippolito ci ha affascinato con le sue avvincenti storie raccontando della centralina idroelettrica che si è costruito per la baita (e io volevo sapere TUTTO) passando per la sua esperienza in Africa come agronomo, scherzando sulla sua fisioterapia post operatoria al ginocchio per cui si è guadagnato il titolo di “toro della Valtellina” e finendo per tutta la trafila che ha passato per diventare maestro di sci. Insomma, profonda ammirazione! Talmente atletico che ci ha accompagnato all’osteria “Alpina” per cena e al bancone abbiamo brindato a spuma, perché oltre al Braulio, non c’è niente!

by fabio

6 agosto 2017. “Ride the wild wind” – 4 passi per le Alpi tour

Tappa 2: Arcene (BG) (152 m s.l.m.) – Capo di Ponte (BS) (360 m s.l.m.). Distanza 100 km.

Con un perfetto umore, mix tra positiva energia e ispirato vigore, riprendiamo la mattinata facendo colazione con lo stesso mood della sera prima. Ma è tempo di andare e l’obbiettivo di oggi è fare tanti km possibilmente senza bagnarci. Infatti, dirigendoci verso est, pedaliamo con alle spalle un cielo plumbeo, mentre davanti, raggi che squarciano delle nuvole di offrono un barlume di speranza all’asciutto, nonostante le previsioni indichino un monsone in arrivo.

Ad un certo punto attraversiamo un largo fiume senz’acqua. Gli chiedo: “ma sei Serio?”. “Si”. Maledetta siccità! Per fortuna al nostro arrivo a Palazzolo sull’Oglio notiamo con sollievo che almeno l’Oglio col bene che ti voglio ha una discreta portata d’acqua di ragguaglio che butto in rima su ‘sto foglio da serraglio (yo, anzi, ‘gliò!). Il vento si rafforza e raffiche insistono. Nell’ansia di trovare un posto asciutto, ci imbarchiamo in uno stretto sentiero non protetto in fregio ad un canale discretamente profondo e con molta corrente, dall’altro lato una ripa scoscesa ci porta a pensare che forse non era un percorso ciclabile. La Madonna sa che non ce l’avevamo con lei in quel momento, però credo le abbiano fischiato i rosari. Ormai fuori pericolo, giungiamo a Capriolo proprio nel momento in cui il coniuge della Vergine decide di tirare l’acqua. Troviamo riparo nel classico bar da incrocio stradale dove Chun Li ci serve delle bille Moletti di metà mattina.

Siamo ormai in prossimità del Lago d’Iseo. Da Sarnico risaliamo in sponda occidentale tutto il Sebino in compagnia di un vento da tempesta che ovviamente spira in direzione opposta alla nostra. Almeno non piove, anzi, le acque mosse e i raggi di sole filtranti creano un gioco di incredibili tonalità di azzurro sulla superficie del lago. La discontinua pista ciclabile si ritaglia il suo spazio fra gallerie, versanti franosi, falesie impressionanti e grigliate di sudamericani.

Al termine del lago, siamo in Valcamonica, l’Oglio riprende a scorrere ora tortuoso ora placido. Il ben fatto percorso ciclopedonale ci permette di osservare bellissimi scorci dell’antico ponte di Cividate Camuno e del fiume che modifica il suo corso con pendenze più decise e gole che, ahinoi, la ciclabile deve assecondare. Ecco allora strappi in salita seguiti da discese e ancora salita e poi discesa. Arriviamo a Capo di Ponte in serata e ci rilassiamo in un B&B, domani iniziano le salite e non si scherza più

by Fabio

5 agosto 2017. “La partenza che scotta” – 4 passi per le Alpi tour

Diario di viaggio: 4 passi per le Alpi tour – agosto 2017

Link mappa:
https://goo.gl/maps/AqFEeqZEz3T2

5 agosto 2017. “La partenza che scotta”
Tappa 1: Milano (120 m s.l.m.) – Arcene (BG) (152 m s.l.m.). Distanza 50 km

In una Milano sciolta come un gelato, dove gli abitanti rimasti sono costretti a boccheggiare, pochi esseri viventi si azzardano a muovere muscoli che non siano involontari. Ma il clima impietoso non ci ha comunque fatto modificare la data della partenza per questo ciclo tour d’alta quota con dislivelli e distanze proibitive, l’ideale per due individui assolutamente non preparati fisicamente, a metà fra il ciclismo, il canottaggio e la tavola. Io (Fabio) e Massimo (detto Cits o Max) siamo i perfetti cicloturisti dell’improvvisazione atletica, dove lo spirito portate è quello del “non me ne frega niente, tanto ci arrivo con i miei tempi e il mio stile assolutamente fuori dai cliché”.

Una controllata alla checklist e i bagagli sono fatti, sorprendentemente leggeri! La minaccia delle salite in programma ha fatto il suo mestiere. Siamo pronti. E sotto l’influenza della positiva energia solare che abbonda e anzi è quasi troppa, lasciamo via Pacini di Milano per dirigerci verso il canale della Martesana.
Subito la prima sorpresa: scopro dove si trova piazza Sire Raul, ovvero il capolinea della 62. Grandi emozioni. Guadagnata la Martesana, percorriamo la ciclabile sorprendentemente vuota se non fosse stato per i frequentatori abituali: anziani in giro in bici con l’abbronzatissimo torso nudo, sudamericani occupati a fare immense grigliate e tante belle nutrie che sguazzano in acqua. Non so se le ultime due cose siano collegate, ma non penso di volerlo sapere.
Tutto fila liscio e veloce fino a Gorgonzola, dove ci fermiamo perché la pista è ingombrata da una bici di traverso e una signora stesa sopra. Un frontale tra ciclisti non deve essere simpatico, soprattutto se ci si fa male, e la signora incidentata sembra aver avuto la peggio. Essendo arrivati 30 secondi dopo il misfatto, siamo i primi a prestare soccorso, e mentre aspettiamo l’ambulanza, Cits sfodera le sue abilità di primo soccorso usufruendo del materiale sanitario portato per ogni evenienza. Un vero inizio col botto!

Non avendo fretta, l’oretta impiegata a fare volontariato non ci nuoce e con leggiadria percorriamo il canale che offre scorci su quello che era il suo glorioso passato fra mulini ad acqua, ville spettacolari, ponti storici e virtuosismi idraulici come solo si facevano una volta. In un battibaleno siamo a Trezzo sull’Adda. Ci prendiamo il nostro tempo per visitare la centrale idroelettrica Taccani (https://it.wikipedia.org/wiki/Centrale_idroelettrica_Taccani) e poco più in la il villaggio di Crespi d’Adda, patrimonio dell’Unesco (https://it.wikipedia.org/wiki/Crespi_d%27Adda), a testimonianza del ruolo strategico che il fiume Adda ha fornito per lo sviluppo dell’energia e dell’industria, allora vanto a livello internazionale.

Accompagnati dalla clamorosa afa padana, arriviamo al termine della nostra prima tappa ad Arcene, ospiti di Eleonora aka Lola, la sportiva più determinata che conosca (https://backtothetop.org/). Entrare a casa di Lola è un sollievo che nell’ultimo mese avevo percepito solamente all’Esselunga: l’aria condizionata. In questo confortevole clima, birra e piadine accompagnano una piacevole serata di chiacchiere, proprio quelle che scivolano via lisce e piacevoli come solo con gli amici si riesce a fare.

by Fabio

 

viaggio in bici maggio 2014, valsugana e vajont – diario

28 maggio 2014 – Giorno 1 – Pergine – Arsiè

Sveglia alle 5:30. Massimo detto Cits è il primo a svegliarsi in quel di via Tadino 18. Io seguo a ruota (nd cits: già entri in tema ahah), ma il primo pensiero è stato: “nooooo..” nonostante fare questo viaggetto ciclistico sia una cosa a cui tengo molto. Dopo una breve colazione, siamo pronti a sellare i cavalli con le nostre borse e altri ammennicoli e a pedalare verso la vicina stazione Centrale. Alle 6:25 parte il treno per Verona, dove una volta giunti cambiamo per Trento. Attraversare la val d’Adige è bello, c’è un gran sole e il verde e l’azzurro predominano. Arriviamo alla stazione di Trento intorno alle 10:00, doppiamo la colazione in salsa trentina e poi di nuovo cambio treno, questa volta in direzione Bassano del Grappa. Seguendo questo consiglio di Riccardo abbiamo risparmiato qualche centinaio di metri di dislivello in salita.

Scendiamo a Pergine, in alta Valsugana, ci sistemiamo e partiamo seguendo le indicazioni per la pista ciclabile della Valsugana, un lungo tracciato esclusivamente ciclistico, da sogno link: http://www.piste-ciclabili.com/itinerari/83-itinerario-della-valsugana .

L’inizio non è dei più facili: oltre a perderci nei frutteti, prendiamo per sbaglio una salita improvvisa con pendenza non amichevole. È in questo momento che mi rendo conto di avere delle pesanti borse appese ai portapacchi. Ci mettiamo poco a convincerci che non è la strada giusta. Ritornati sui nostri passi, imbocchiamo finalmente la giusta pista ciclabile, che offre dei bei scorci fra il fiume Brenta e i monti attorno. Alla nostra destra, seguendo il corso del fiume, si stagliano i monti che fanno da appoggio all’altopiano di Asiago.
Alla nostra sinistra, i paesaggi a specchio del lago di Caldonazzo.

lago di caldonazzo

Giunti a Borgo Valsugana ci fermiamo per rifocillarci. C’è appena stato il mercato, ma facciamo a tempo a prendere una caciotta fresca e della soppressata per farci i panini con le baguette che ci seguono fedelmente da Milano. Inauguriamo anche la prima delle birre, all’insegna dei sali minerali. Il paese è molto caratteristico, è piacevole pranzare e abbioccarsi all’ombra di un antico ponte residuo della dominazione veneziana.
Terminata la pennica, riprendiamo il cammino. Degno di nota è questo simpatico intramezzo: durante il percorso sulla ciclabile, ci imbattiamo in un team di tagliaerba. Tutti belli e in divisa alta visibilità, con a capo due persone muniti di fischietto che appena ci vedono il più vicino lancia un fischio e tutti i tagliaerba si fermano per farci passare. In più, al nostro passaggio, un bel “buongiorno!” in coro da parte degli operai. Che servizio!
Per rendere la tappa un po’ varia e meno prevedibile, facciamo una deviazione a visitare un bel BIOTOPO detto Fontanazzo, ovvero una serie di stagni e zone umide in cui un piccolo ecosistema è in perfetto equilibrio. Lungo i sentieri sterrati a lato di prati con erba molto alta, Cits nota su un legno a bordo del sentiero un serpente nero a prendere il sole. Non sapendo se sia vipera o biscia, non ci avviciniamo troppo, ma di quel che basta per scattare qualche foto ben piazzata, cosicché i rettilone si stufa e striscia via.biscia
La valle del Brenta cambia aspetto, diventa più profonda e incisa e non lascia più spazio ai prati a lato. Infatti il pericolo di caduta massi è reale, ma la pista ciclabile è ben protetta da una specie di protezione che ricorda la gabbia degli pterodattili nell’ultimo film di Jurassic Park.

Siamo ormai giunti a Cismon del Grappa, basta Brenta, basta pista ciclabile, ma soprattutto basta discesa. Bisogna salire fino ad Arsiè che è già provincia di Belluno, e per farlo prendiamo una strada chiusa al traffico e poco mantenuta, ma bellissima per noi: si fa strada nella roccia, con tornanti molto tosti e mezze gallerie.salita da cismon
Una volta scollinati ci affacciamo su un bel balcone per ammirare il panorama in cui domina il lago del Corlo, un invaso creato da una diga dell’Enel. lago del Corlo

Da qui al campeggio link: http://www.campinglago.info è tutta discesa, arriviamo e facciamo a tempo a montare la tenda che comincia a gocciolare. Pace, ormai il più è fatto. Andiamo a cenare. La cena dei campioni consta nell’ordine in due pizze, quattro birre medie, un antipasto speck e formaggio Piave, due grappe e due fette di torta. Belli impanzonati e stanchi ci corichiamo, la pioggerellina diventa insistente e tempo due minuti diventa temporale. Che palle speriamo che la tenda regga la pioggia, dice Cits. A un certo punto, ormai vicini al sonno, percepiamo un abbaglio seguito immediatamente da un tuono che sembra una bomba esplosa di fianco a noi, con una coda ruggente che sembra infinita. “Siamo sotto un albero, dovremmo spostarci” dico io, commento del Cits: “Beh dai, ci sarà un altro albero più alto nei dintorni! Non colpirà proprio questo!”. Buonanotte.

altimetria

altimetria giorno 1

29 maggio 2014. Arsiè – Valle Imperina (Agordo)

Risveglio alle 5:00. No troppo presto! Risveglio alle 7:00, meglio. C’è il sole!! Ci sbrighiamo con una colazione frugale cappuccino e brioche, approfittiamo del bell’inizio di giornata e facciamo asciugare tenda, calze, mutande, magliette e anche noi stessi. Salutiamo il campeggio e ci mettiamo a pedalare di nuovo, cercando di seguire la via ciclabile tracciata dall’avvenente cameriera che ci ha simpaticamente servito la sera prima.

A dire la verità, il percorso non è un granché. Niente di speciale se non strade larghe in zone industriali o di collegamento. C’è di buono che la nostra direzione è Pedavena, città famosa per la fabbrica di birra, infatti, nonostante siano le 11:00 ci fermiamo al bar perennemente aperto per gustarci del nettare alcolico. Se non altro, è un po’ come pensare a un reintegro sali minerali preventivo!

pedavenaConsumata con soddisfazione la nostra bibitona, riprendiamo la pedalata seguendo un itinerario pedemontano che tocca i paesi di Cesiomaggiore (paese dei ciclisti), San Gregorio nelle Alpi e Sospirolo. Se fino a San Gregorio il tracciato è stato caratterizzato da maledetti falsipiani spacca gambe, da lì fino a Sospirolo finalmente una discesa! È la prima ed è pure molto tecnica, la velocità massima è di circa una sessantina di km/h. Missili con le borse.
A Sospirolo ci fermiamo a pranzare, in quanto è l’ultima città prima di addentrarci nel Parco delle Dolomiti Bellunesi. Durante la sosta il cielo è coperto, anzi, verso la piana del Piave il cielo ha coperto il suolo: non si distingue più dove un confine fra i due, brutto segno, pioggia a valanga.

cielo plumbeoNoi, impotenti, possiamo fare solo una cosa: scappare in direzione opposta, ovvero nella valle del Mis, la nostra direzione. Dopo aver addobbato le borse e noi stessi in modalità antipioggia, partiamo senza indugi imboccando la valle. I primi 2 km li percorriamo sotto una pioggerella che temiamo sia il fronte della tempesta alle nostre spalle, ma il cielo sembra schiarirsi sopra le nostre teste. La fiducia sale e ne approfittiamo per fermarci spesso a godere del bellissimo panorama che offrono la vallata e il lago,  un altro invaso di una diga. L’acqua ha un colore verde incredibile, che assieme a quello della vegetazione mette ancor di più in risalto le rocce affioranti fra la coltre vegetale.valle del mis, gallerie
Lasciato il lago alle nostre spalle, la valle si chiude attorno al torrente che gorgheggia con la sua acqua trasparente e la strada si fa spazio fra i fianchi del versante con delle splendide gallerie scavate nella roccia. I bei paesaggi passano in secondo piano quando cominciamo decisamente a salire, siamo a quota 500 m s.l.m. e la strada comincia a impennarsi e non smetterà fino a quota 990 m s.l.m. a Forcella Franche.

IMG_1306
Poco prima di raggiungere il passo, in località Tisér, ci siamo fermati a una fontanella per riempire le borracce ormai vuote. Un signore sceso da una macchina, si è avvicinato per abbeverarsi. Inevitabilmente ci siamo messi a chiacchierare con lui sul nostro itinerario, durante il discorso è venuto fuori che lui ha gareggiato per una decina di anni anche come professionista. E ci ha rivelato che ha vinto l’oro a Roma (Olimpiadi di Roma, 1960) in bicicletta. Così ha detto: “tu sai navigare in internet, no? Cerca allora Franco Testa.” Eccolo: http://it.wikipedia.org/wiki/Franco_Testa.

IMG_1307

Salutiamo il simpatico campione e terminiamo l’ascesa ai 990 m di quota con una rampa talmente in pendenza che è proprio da masochisti piazzarla alla fine. Per fortuna  ora ci aspetta una discesa infinita fino all’ostello della Valle Imperina. Una volta raggiunto ammiriamo con piacere come il posto, un antico complesso minierario, sia stato perfettamente restaurato e reso fruibile. Siamo gli unici ospiti. Ci sono solo il cuoco, un taciturno signore sulla sessantina, e un ragazzone aiutante. L’anziano è abbastanza inquietante, parla poco e ha un senso dell’ironia come un venditore di spazzole a una festa per calvi. Ceniamo abbondantemente come se non mangiassimo da giorni, e felicemente, alle 22 di sera, ci corichiamo su dei morbidi e asciutti letti.

valle imperina - miniere

NB: Profili altimetrici divisi in due parti causa blocco gps, il primo è Arsià – Sospirolo, il secondo dalla fine della valle del Mis fino alle miniere. Sul secondo si vede il picco in località Tiser. (Forcella Franche)

Arsià - Sospirolo

Arsià – Sospirolo

dalla fine della valle del Mis fino alle miniere

dalla fine della valle del Mis fino alle miniere

valle del mis - forcella franche

valle del mis – forcella franche

30 Maggio 2014. Valle Imperina (Agordo) – Erto (Vajont)

Al risveglio siamo sempre noi due e il cuoco con il suo aiutante. Confermo i pensieri del giorno prima: oggi però sembra più un malgaro trapiantato a forza lì in quel posto, non dice una parola e la sua unica preoccupazione è che non gli finiamo le torte. Prima di lasciare il bell’ostello, scambiamo due parole, ma giusto due, con il cuoco. Ci consiglia caldamente di lasciar perdere la salita del passo Duran, è troppo dura, soprattutto con le borse ai portapacchi. Ci invita invece a percorrere la comodo e trafficatissima strada che scende a valle. “Si si grazie, adesso ci pensiamo!”. Non attacca.
Dopo un breve giro per le miniere, ci biciclettiamo. Ed è subito salita! Dopo un paio di km, lasciamo la SR e due simpatici ciclisti in là con gli anni che ci hanno accompagnato per questo breve tratto. L’ultimo sguardo con uno dei due lascia intendere un senso di ammirazione per questi due giovani coraggiosi, ma in realtà forse era un ghigno, come per dire “babbei!”. Tecnicamente la salita è lunga circa 13 km, con un dislivello di 1000 m, mai un pezzo in piano, pendenze fra 8-10% con punte anche di 13, come si vede dal profilo altimetrico. Una lunga salita con pochissimi tornanti, solo lunghe curve e rettilinei che fanno scendere il morale a qualsiasi ciclista.

duran

Quello che non si vede dal profilo altimetrico è il bel paesaggio che scorreva intorno a noi: rigogliose foreste di conifere che fanno da slancio a imponenti massici dolomitici che si stagliano improvvisi.

duran 2A rovinare queste belle visioni c’è purtroppo un traffico veicolare intenso. Moto di tutti i tipi e noiosissimi tamarri in macchina si divertono a fare salita-discesa-salita-discesa non proprio rispettosamente, né nei nostri confronti, né nei confronti degli altri automobilisti. Dei cazzoni insomma.
Tornando alla cronaca, la salita è veramente impegnativa, e ogni 10/15 minuti è d’obbligo una pausa per tirare il fiato, per bere e per riposare un pelo le gambe. Per la prima volta sento di avere bisogno di sali minerali veri, non birra. Prendo la bustina che la mia santa ragazza ha sapientemente infilato nel kit del pronto soccorso e disciolgo la polverina nella borraccia, da cui tracanno delle ingorde sorsate. Canticchiando “Every you, every me”, riparto alla grande forte dell’effetto Placebo, che si esaurisce dopo una mezza curva quando vedo un cartello di pericolo con segnato 15%. Doh! Fanculo, piuttosto rampichino, ma non la farò mai a piedi! Alla fine dello strappo ammazza gambe, si sbuca in un bel pianoro, ormai prossimi al passo. Mi raggiunge Cits e insieme arriviamo al passo Duran, quota 1605 m sul livello del mare!

Alte vette dolomitiche (San Sebastiano e Moiazza) sembrano immense e noi piccolissimi. Un ciclista, di quelli seri, ci fa i compimenti per essere venuti su con le mountain bike e le borse, vorremmo che anche il cuoco dell’ostello fosse qui. Tempo delle gloriose foto e poi..birraaaaaaaaaaa!!

passo duran

passo duran

Purtroppo i due rifugi sono chiusi o non  troppo ospitali, quindi decidiamo di iniziare la discesa che ci porterà fino a Dont, un paese con un nome che è una meraviglia.

duran, discesaLa discesa è una bomba: la strada, non particolarmente larga, passa attraverso boschi di larici e abeti, i nevai sono a bordo strada. Ma il desiderio di non fare fatica in discesa vince, quindi non ci fermiamo a fotografare questo spettacolo che merita di essere immortalato. La discesa perde quando incrociamo un agriturismo lungo la strada. Ci scofaniamo carne secca, formaggi, salumi, gnocchi con burro, ricotta salata e pancetta, tagliatelle al ragù di cervo, caffè e grappe. Ah, ovviamente 4 birre.


Dopo la sosta ci rimettiamo in sella, un ciclista ci supera. Per Cits è un affronto, parte all’inseguimento in discesa. Io non reggo le velocità folli quindi sono più prudente e rimango un po’ più dietro, mentre Max alla fine riesce nel suo intento e il ciclista cede. Rallentano e si mettono a chiacchierare. L’amico ciclista, che ci ha preso in simpatia, si gode la discesa con noi e ci accompagna per un pezzo. A Dont ci dobbiamo fermare per fotografare il cartello del paese, ci tenevo.

dontA Forno di Zoldo il ciclista ci saluta e intraprende una salita intensa e pazzesca fino ad Astragal, con pendenza media del 16% e  punte fino al 20%.

Proseguiamo per la valle e ci impattiamo in un laghetto creato da una diga, quello che colpisce è che la diga è molto più alta della quota dell’invaso. Si vede lo scarico di superficie ormai inutilizzato (sfioro a calice, nota dell’ingegnere) e il nuovo scarico di troppo pieno.

diga lago di pontisei

È stato immediato pensare che la quota dell’invaso fosse stata abbassata per qualche problema. Ne ho la conferma quando leggo il cartello dell’Enel “lago di Pontesei”, e mi torna in mette lo spettacolo di Paolini sul Vajont: pochi anni prima del disastro che distrusse Longarone, una frana cadde nel lago di Pontesei e generò un’onda anomala che uccise il guardiano della diga. Un campanello di allarme sottovalutato, purtroppo.

diga vajont vista da longarone

diga vajont vista da longarone

Ormai la valle è finita.  Arriviamo a Longarone, appena la vista si libera sulla valle del Piave, si vede ben netta la gola con la famosa diga racchiusa fra le ripide pareti della forra. Impressionante anche da qui. A Longarone visitiamo il museo alla memoria della tragedia, ben fatto e ben documentato.

Ripartiamo con un po’ di magone alla volta di Erto. La salita, circa 4 km con dislivello di 300 m, ci impegna discretamente, ma dopo il passo Duran mi sento fortissimo! Terminata la salita, la strada si fa largo con delle belle gallerie nella roccia, ormai dovremmo essere nella valle del Vajont, si dovrebbe vedere..eccola! la diga è altissima. Slanciata fra le pareti a strapiombo della strettissima gola. Ancora più impressionante è la frana: la massa di detriti che riempie lo spazio dove c’era il lago è enorme, infatti la sommità della zona di deposito della frana è a una quota ben più alta di dove c’era l’invaso, molto più alta anche del coronamento della diga! Sul pendio del monte Toc si vede benissimo la “M” del distacco.

frana, stacco a M

frana, stacco a M

Stando qui ci si può fare un’idea di quello che è successo il 9 ottobre 1963, a casa non si può realmente comprendere. I numeri e i dati non rendono bene l’idea come invece fa la vista.

erto
Arrivati a Erto, ci addentriamo nel centro storico, quello sotto la “quota di sicurezza” di 830 m sul mare. È un bellissimo borgo, ma abbandonato in parte, di fianco a case fatiscenti e pericolanti ci sono abitazioni recentemente restaurate, cartelli di vendita ovunque. Una signora esce di casa, forse una delle poche abitanti della vecchia Erto, e ci da le indicazioni per raggiungere il bar Julia, dove dovremmo incontrare la signora Mariagiacoma che ci accompagnerà nell’abitazione del nostro albergo diffuso.

Di fianco al bar, c’è la bottega di Mauro Corona, riconoscibile dalle sculture lignee. Al bar ci prendiamo le nostre solite birrette e scambiamo quattro chiacchiere con la signora, dopodiché ci accompagna al nostro alloggio nella vecchia Erto. La nostra casa è una di quelle appena restaurate, finiture in legno nuovissimo su tre livelli, scalini impervi, porte basse.

albergo diffuso

Tempo di riprenderci e torniamo al bar trattoria di Mariagiacoma per cena, gustiamo una zuppa di ortica e del frico, tipico friulano. Davide, il figlio della proprietaria, ci da delle dritte sull’itinerario che vorremmo fare il giorno dopo in mountain bike, accompagna dunque Max su a casa per stampare la cartina, mentre io passo i 20 minuti più lunghi della mia vita con il bambino più chiacchierone di Erto: Leonardo, il figlio di Davide. Alla fine non ce la faccio più e propongo a Leonardo di salire a casa per recuperare Max, avevano finito da un sacco ma si sono persi via a raccontarsi un po’ di storie. Prima di andare via, Davide ci offre una grappa al basilico fatta da lui, non male per essere del pesto senz’aglio macerato nell’alcol! Scherzo era buona! Salutiamo e ce ne andiamo nel paese fantasma per un bel sonno al termine di questa giornata di tappa alpina.

altimetria giorno 3

altimetria giorno 3

 

31 maggio 2014. Valle del Vajont – Erto

Risveglio calmo, come l’ambiente impone, colazione con caffè della moka e pane di ieri ancora buono, preso in prestito dal cuoco dell’ostello di Valle Imperina. Oggi ci dedichiamo alla parte più da “turisti per Casso”, andiamo infatti a visitare il museo di Erto. Il posto è diviso in due sezioni, la prima prettamente fotografica sulla valle e la diga con evidenti paragoni fra il prima e il dopo 9 ottobre, la seconda parte è invece su aspetti tecnici della diga, della frana, dell’onda, delle vicende giudiziarie e sociali post tragedia. Scopriamo, grazie a una scolaresca in visita, che nel pomeriggio ci saranno delle visite guidate presso il coronamento della diga, organizzate dal Parco delle Dolomiti Friulane. erto

Passiamo quindi a prenderci dei panini all’alimentari di Erto, già che ci siamo andiamo al bar Julia a farci un paio di birrette per accompagnare i panini. Incontriamo un’altra signora, Rossana, moglie del Corona che ha l’enoteca di Erto, zio acquisito di Davide, figlio di Mariagiacoma che ci ha aiutato la sera prima con le stampe. Lo zio di Davide è anche il fratello della madre di Giada Corona, la ragazza del punto informativo alla diga. Tutti parenti, tutti Corona.

la guida

Arriva la guida, Franco. Incentra la sua spiegazione da un punto di vista globale, che tocca aspetti naturalistici, geofisici, un po’ ingegneristici, ma soprattutto sociali.

Ha coinvolto in modo particolare il racconto dell’impatto e ciò che è successo: lo spostamento di acqua indotta dalla frana ha raggiungo un altezza di 400m sopra la quota del lago, andando a lambire l’abitato di Casso che si è trovato davanti a un muro d’acqua. La successiva ripartizione dell’onda ha preso tre vie: una è ritornata indietro sul deposito della frana, quella di destra è risalita lungo la valle in direzione di Erto che si è salvata per la morfologia dei versanti. La massa che ha preso la via di sinistra, quella verso il Piave, ha tracimato la diga con un fronte di acqua alto circa 200 metri sopra il coronamento, si è infilata nell’orrido del Colomber

orrido del colomber

orrido del colomber

dove ha acquisito velocità per il restringimento imposto dalla gola, è sbucata nella valle del Piave con una violenza tale da scavare nel letto ghiaioso del fiume un buco di 60 metri di profondità, portando distruzione. Mi ha colpito la notizia che i morti di Longarone non siano annegati, non sono stati rinvenuti cadaveri con acqua nei polmoni. Ciò che ha ucciso, è stata l’aria surriscaldata per effetto della compressione indotta dall’enorme massa d’acqua in movimento. L’aria, probabilmente resa irrespirabile, ha bruciato i polmoni delle vittime. Dal coronamento abbiamo potuto vedere lo scorcio su Longarone, ed è facile vedere l’onda che corre verso l’abitato, così come ieri da Longarone è stato facile immedesimarsi negli abitanti, con una immaginaria visuale di un fronte d’acqua che esce come da un catino, grosso 160 milioni di metri cubi e alto 260 metri. Fa un certo effetto vedere la zona di distacco della frana e la sua zona di accumulo, la diga, il coronamento danneggiato con i ferri piegati, e laggiù in fondo Longarone. Sono morte 1913 persone.

diga del vajont

Terminato il tour della diga, con  un misto di felicità idraulica e sconforto, inforchiamo le bici e percorriamo la strada che sale sul deposito della frana. È bellissimo vedere come la vegetazione, la dove c’era un paesaggio lunare, si sia espansa con boschi di larici, abeti,noccioli, ontani e altre piante. Percorrendo la bella strada, alternata a fresche frasche e fredde gallerie, deviamo verso il sentiero che porta verso il torrente Vajont. Una strada ripida e sterrata ci porta nell’alveo ghiaioso dove si riesce poco a pedalare, inoltre, visto che il sentiero prosegue dall’altro lato, dobbiamo guadare!Via le scarpe, bici a mano e hop!! Acqua fottutamente gelida!

guadoPer risalire al paese il sentiero è troppo “erto”, bici a mano e spingere! Credo che avremo fatto 300 metri di dislivello, in un bosco di larici veramente magico.

La sera decidiamo di andare all’enoteca di Marco Corona, marito di Rossana del bar Julia, sorella di Mariagiacoma. Marco è felice di vederci e ci offre un bicchiere di vino che non si dovrebbe nemmeno tenere sottobanco: il clinto. Verremo poi a sapere che l’abuso di clinto provoca cecità, paralisi, dittatura, pestilenze e Chuck Norris. Ma questo non lo potevamo sapere ancora. Di fianco a noi, al nostro stesso tavolo, si siede una coppia di signori, che da subito attaccano a parlare, anzi, solo lui. Parla tantissimo, per tutta la sera, e man mano che beve le sue birre, diventa più spigliato a scapito della completezza dei discorsi. Così mentre noi ci mangiamo un tagliere rotante di salumi, lui parla e parla, concludendo ogni tanto con un “o no, Grazia?”, chiedendo conferma alla povera moglie che chissà quante volte aveva assistito a questa scena. Un altro intercalare che usa spesso, e mi fa ridere un sacco, è: “ma questa è un’altra storia”, lo mette sempre fra un discorso e l’altro in modo che non si capisca un cazzo di quel che sta raccontando. Solo l’intervento di Grazia riesce a rimette un po’ di ordine nella dialettica, mentre suo marito se la ridacchia sotto quei baffoni, pensando di condividere con noi i suoi simpatici ricordi sortendo l’effetto delle sue improbabili spiegazioni.

enoteca corona

Dopo due ore, è il momento di dire basta, così ci alziamo e cominciamo a salutare i compagni e gli altri presenti, ma non possiamo uscire senza la grappa offerta da Marco, e quindi dai!! Adesso veramente possiamo andare. Usciamo dall’enoteca salutando tutti come se fossero i nostri migliori amici, e in quel contesto forse lo sono veramente. Simpatici questi ertani del casso.

1 giugno 2014. Erto – Pordenone

Sveglia alle 7. Oggi bisogna fare un sacco di km per essere a Pordenone nel pomeriggio e prendere il treno per Milano. Andiamo dalla Maria, facciamo colazione, saldiamo il conto e salutiamo! Pronti via, facciamo un km di discesa e poi subito salita, per fortuna breve, verso il passo San Osvaldo.

passo s osvaldo

passo s osvaldo

Dal passetto, un sacco di discesa per la Valcellina a bomba fino a Barcis.

Durante il tragitto il torrente Cellina offre spettacoli con il suo colore lattiginoso per via dell’elevata torbidità, fra ciottoli e pendii pieni di verde.

Verde è anche il colore del lago in cui si specchia Barcis, ne percorriamo la sponda che non passa dal centro abitato e scegliamo bene: ci imbattiamo nell’ennesima diga, piccola, ma simile al Vajont (a doppio arco, n.d.ing.) e con sfioro a calice, un piacere idraulico. La cosa bella è che la strada passa per una piccola galleria in curva, scavata nella roccia, e continua poi sul coronamento della diga fino dall’altra parte.

Poco più avanti lungo il percorso imbocchiamo la strada vecchia della Valcellina, un itinerario di pochi km per l’antica via di collegamento ora chiusa al traffico e severamente regolata anche ai turisti in quanto riserva naturale. È molto suggestivo passare vicino alle pareti di roccia scavata: sono delle mezze gallerie, ma con sopra la testa un balconcino che sostiene un’intera parete. Anche il torrente è incredibile, nonostante il suo colore blu intenso, l’acqua è trasparentissima e si vede molto in profondità.

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Al termine del percorso siamo indecisi se continuare abusivamente sulla vecchia regionale chiusa, o se uscire dalla riserva. La prima opzione ci farebbe risparmiare un sacco di strada e di salita, ma pare che a un certo punto la strada si inabissi nell’invaso creato da una nuova diga, appena ultimata. La seconda scelta prevede inoltre una salita verso la Forcella di Pala Balzana, che a questo punto del nostro itinerario, non è che sia proprio una cosa fondamentale. Il guardiano all’uscita della riserva, ci fa capire che non sarà lui a proibirci di passare dalla strada chiusa, ma ci fa capire che il problema non è tanto la pericolosità della strada, quanto scavalcare delle recinzioni alte un paio di metri con le bici. Lasciamo perdere, facciamoci sta salita.

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Tutti ci hanno rassicurato dicendoci che se abbiamo fatto il passo Duran, questa sarà una passeggiata, noi ci crediamo quindi mettiamo le ruote in direzione Pala Barzana. In realtà, forse per la stanchezza accumulata e un po’ per le solite borse pesanti, io fatico , ma non demordo. La strada in effetti è meno pendente del passo Duran, il vantaggio di non sentirsi obbligati a fare delle pause per riprendere si sente eccome. L’ascesa è bella, ma a un certo punto la strada viene interrotta da un divieto. Ce ne freghiamo e proseguiamo. Dopo poche centinaia di metri c’è proprio un cantiere, la strada è franata! Tuttavia c’è uno spazietto sufficiente per passare, e così facciamo. Il proseguo della salita è una meraviglia, tornanti stretti, bosco fitto, ma soprattutto: NESSUNO. Spadroneggiamo fino a quota 840 m s.l.m., eccoci arrivati.

pala barzana

pala barzana

Ora ci aspetta una goduriosa e lunga discesa, al sole, senza nessuno, le nostre ruote disegnano traiettorie spettacolari.
In pochissimo tempo arriviamo a Poffabro! Proprio un bel borgo. Qui incontriamo una coppia di ciclisti, Vittorino e Gabriella, da Vittorio Veneto. Con loro ci fermiamo in un osteria per pranzo, ci gustiamo degli gnocchi con un erbetta selvatica buonissima. Scambiamo delle belle chiacchiere sorseggiando la nostra immancabile birra, prendendoci il tempo che ci spetta. Ma è l’una, è ora di andare.

poffabro

poffabro

Salutiamo i signori e ci rimettiamo in sella verso la pianura, ma prima del piattume, un ultima discesa! Giungiamo a Maniago e salutiamo le Dolomiti. Verso Pordenone passiamo per il comune di Vajont, creato per ospitare gli allora sfrattati ertani e cassesi, esodati per i “rischi” del dopo tragedia. Ma non c’è tempo di fermarsi, abbiamo un treno da prendere alle 14:42! Mission impossibile.

Pedaliamo fortissimo, dandoci i cambi per aprire i varchi nell’aria e mantenendo così un’elevata andatura fra i 30-35 km/h, che per noi sono tanti.

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Arriviamo in stazione alle 14:38, giusto in tempo per fare i biglietti con supplemento bestemmie litigando con la macchinetta automatica. In treno Max trova Paolo, un suo amico cislista in compagnia di altri compari, di ritorno anche loro da un bel giro. Ma tu pensa a quanto è piccolo il mondo! Così, tutti in direzione Milano, salutiamo le strade. Adesso ci aspettano 5 ore di viaggio in cui pensare, guardare foto e scrivere di questa bella vacanza!

 

Una nota di cits: un grande grazie Fabio per  l’entusiasmo in viaggio e durante la stesura di questo appassionato diario! E’ stato un piacere averti come compare di ciclo-viaggi!

viaggio in bici maggio 2014, valsugana e vajont -pianificazione

Itinerario completo (pianificato, da aggiornare) http://goo.gl/maps/8moZ8

GIORNO 1 – mercoledì 28/5/2014 – 90 km
Treno da Milano C.le ore 6:25, 8:46 da Verona, coincidenza 20′, prezzo 18.8 euro + 3.5 bici. Da Trento (arrivo intorno 10) c’è una ciclabile della valsugana http://www.piste-ciclabili.com/itinerari/83-itinerario-della-valsugana , poi, se si può, io propongo all’altezza di Cismon del Grappa di seguire  il torrente Cismon controcorrente,’affluente del Brenta che arriva dal Lago di Corlo, e fermarci a dormire in zona Arsiè dove c’è un campeggio: http://www.campinglago.info/index.php-action=notizie&idcat=23&modvis=0&chsez=7.htm (Via campagna 14/l -Rocca di Arsie’ (BL) – 0439 58540 )

GIORNO 2 – 70/80 km – giovedì 29/5/2014
Da Arsiè fino a località Le Miniere • Rivamonte Agordino dove pernotteremo nell’ostello http://www.ceisbelluno.org/cooperative/OstelloValleImperina.htm (Telefono 320 6520183). Come itinerario conviene stare lontani dalla provinciale e costeggiare i versanti della valle attraversando paesi tipo Foen, Fianema, Cesiomaggiore,San Gregorio nelle Alpi,.., raggiunto l’imbocco della valle del Mis ci inerpichiamo per la metà dell’anello nel Parco delle Dolomiti Bellunesi.

GIORNO 3 – 50 km – venerdì 30/5/2014
Da Rivamonte Agordino fino a Erto. Dall’ostello possiamo decidere se terminare l’anello e scendere in pianura passando per Belluno e risalire il Piave, oppure continuare per la valle Agordia in salita fino a Fono di Zoldo e arrivare a Longarone dalla valle che arriva alle sue spalle. A Erto si può prenotare all’albergo diffuso presso Casa Meneghin in Via Pier Fortunato Calvi (0427 878445 – 338 1570963)

GIORNO 4 – 20 km – sabato 31/5/2014
Giro Vajont versione MTB, vedere il sito http://www.themtbbiker.com/valle-del-vajont.html#.U4JSJXJ_uzE. Impegnativo ma appagante, potremmo lasciare i bagagli all’albergo diffuso e dormire lì ancora.

GIORNO 5 – 60 km – domenica  1/6/2014
Da Erto verso Pordenone. Scendiamo percorrendo la Valcellina, facendo la strada vecchia nel parco che capita a fagiuolo, http://www.riservaforracellina.it/ ).
Ritorno da Pordenone a Milano via Venezia Mestre, purtroppo bisogna fare cambio anche a Verona. La soluzione che ho trovato io è: 14:42 Pordenone e arrivo  Mestre alle15:44, ripartenza alle 16:24 e arrivo a Verona alle 17:39, ripartenza alle 18:10 e arrivo a Milano alle 20:05. Resta da vedere se riusciamo ad essere in stazione a Pordenone alle due e mezza!!