Tappa 3: Capo di Ponte (BS) (360 m s.l.m.) – Le Prese (SO) (920 m s.l.m.). Distanza 60 km.
L’ottima pista ciclabile della Valcamonica ci tradisce, obbligandoci prima a fare del mountain biking nella selva, poi lasciandoci appiedati fra un guard rail e la ferrovia. Scavalcata la recinzione con le bici, ci buttiamo in strada principale e da lì proseguiamo.
Giungiamo a Malonno, da questo momento in avanti niente più pezzi in pianura fino al passo del Mortirolo. La salita vera e propria inizia dal bivio della SS42 del Tonale verso Monno (ecco spiegato il titolo). Nonostante le pendenze siano molto più abbordabili rispetto alla salita dal lato valtellinese, avendo le borse e un fisico non proprio da ciclista, l’ascesa non è comunque facile. Ma non ci importa. Stiamo per affrontare una delle salite cult del Giro d’Italia, che hanno elevato a gloria campioni come Pantani con cui noi condividiamo solamente la bandana e fra qualche anno magari la pelata.
Il paesaggio si tinge di alpeggi che cominciano a riempire i versanti delle montagne, si continua a salire tutto sommato bene nei tratti a pendenza 7%, mentre oltre, il caro rampichino, fuga ogni patema. Un falsopiano ci avvisa che siamo quasi giunti agli ultimi 3 km di salita, dove 11 tornanti consecutivi ci fanno arrampicare con pendenze superiori al 10% che tuttavia non ci impediscono di ammirare il bel paesaggio intorno. In questi frangenti immagino ali di folla che accompagnano i campioni nelle loro fughe solitarie e le immagini che alla televisione mi emozionavano quando il bel ciclismo tricolore riempiva i miei pomeriggi dopo scuola. Trionfalmente giungiamo in cima al passo e la salita termina a 1852 m s.l.m. Foto di rito e ritorno sui nostri passi per qualche centinaio di metri per giungere ad un bel ristorantino che avevamo visto salendo. Pizzoccheri E polenta e cervo per me, piode di Monno (piatto tipicissimo) e formaggi per Cits. Anche la pancia vuole la sua parte. Essendo la tappa discretamente corta e non avendo fretta, ci pennichelliamo per un po’. Riposati a sufficienza, ripassiamo per il passo la seconda volta in un giorno incredibilmente freschi e veloci, tant’è che sento altri ciclisti che, avendoci visti così aitanti e scappati di casa, commentavano con “quella è pedalata assistita”.
Nel secondo passaggio, notiamo due operai che lavorano alla nuova stele rappresentativa della sommità del passo, con grafica “Mortirolo” tutta nuova e fresca di montaggio. Una ghiotta occasione per una foto, con la fortuna di essere i primi ciclisti a farla. Per cui ogni volta che la vedrete, sappiate che io e Cits ci possiamo vantare di essere stati fra i primissimi.
Ma ora arriva il bello: finalmente discesa! Una spettacolare strada ci fa perdere circa 1200 m di quota fino a Grosio in Valtellina dove ci attende molto caldo e pochi km fino a destinazione. Cambiamo valle e ritroviamo l’Adda nella sua versione sopralacuale, con la pista sponsorizzata A2A che corre lungo le sponde.
Arriviamo a Le Prese. Per due notti saremo ospiti di Matteo e Francesca, amici di Lola che ha un networking invidiabile e ci ha aiutato a trovare una sistemazione valtellinese. In particolare dormiremo nell’appartamento temporaneamente lasciato libero di Francesca, tutto per noi.
Veniamo accolti da Francesca e i suoi genitori, Franca e Ippolito, che ci mettono subito a nostro agio con una bella tazza di tè, biscotti e delle simpatiche chiacchiere dalle quali emerge subito che siamo finiti in una famiglia di eccellenti sportivi e intraprendenti persone. Oltre ai 1000 trofei di Ippolito (ottant’anni portati benissimo e i bicipiti più grandi dei miei), ci sono da aggiungere almeno gli altrettanti di Francesca in anni di carriera divisa fra ginnastica artistica, atletica, podismo, sci e chissà cos’altro. Ippolito ci ha affascinato con le sue avvincenti storie raccontando della centralina idroelettrica che si è costruito per la baita (e io volevo sapere TUTTO) passando per la sua esperienza in Africa come agronomo, scherzando sulla sua fisioterapia post operatoria al ginocchio per cui si è guadagnato il titolo di “toro della Valtellina” e finendo per tutta la trafila che ha passato per diventare maestro di sci. Insomma, profonda ammirazione! Talmente atletico che ci ha accompagnato all’osteria “Alpina” per cena e al bancone abbiamo brindato a spuma, perché oltre al Braulio, non c’è niente!
by fabio