viaggio in bici maggio 2014, valsugana e vajont – diario

28 maggio 2014 – Giorno 1 – Pergine – Arsiè

Sveglia alle 5:30. Massimo detto Cits è il primo a svegliarsi in quel di via Tadino 18. Io seguo a ruota (nd cits: già entri in tema ahah), ma il primo pensiero è stato: “nooooo..” nonostante fare questo viaggetto ciclistico sia una cosa a cui tengo molto. Dopo una breve colazione, siamo pronti a sellare i cavalli con le nostre borse e altri ammennicoli e a pedalare verso la vicina stazione Centrale. Alle 6:25 parte il treno per Verona, dove una volta giunti cambiamo per Trento. Attraversare la val d’Adige è bello, c’è un gran sole e il verde e l’azzurro predominano. Arriviamo alla stazione di Trento intorno alle 10:00, doppiamo la colazione in salsa trentina e poi di nuovo cambio treno, questa volta in direzione Bassano del Grappa. Seguendo questo consiglio di Riccardo abbiamo risparmiato qualche centinaio di metri di dislivello in salita.

Scendiamo a Pergine, in alta Valsugana, ci sistemiamo e partiamo seguendo le indicazioni per la pista ciclabile della Valsugana, un lungo tracciato esclusivamente ciclistico, da sogno link: http://www.piste-ciclabili.com/itinerari/83-itinerario-della-valsugana .

L’inizio non è dei più facili: oltre a perderci nei frutteti, prendiamo per sbaglio una salita improvvisa con pendenza non amichevole. È in questo momento che mi rendo conto di avere delle pesanti borse appese ai portapacchi. Ci mettiamo poco a convincerci che non è la strada giusta. Ritornati sui nostri passi, imbocchiamo finalmente la giusta pista ciclabile, che offre dei bei scorci fra il fiume Brenta e i monti attorno. Alla nostra destra, seguendo il corso del fiume, si stagliano i monti che fanno da appoggio all’altopiano di Asiago.
Alla nostra sinistra, i paesaggi a specchio del lago di Caldonazzo.

lago di caldonazzo

Giunti a Borgo Valsugana ci fermiamo per rifocillarci. C’è appena stato il mercato, ma facciamo a tempo a prendere una caciotta fresca e della soppressata per farci i panini con le baguette che ci seguono fedelmente da Milano. Inauguriamo anche la prima delle birre, all’insegna dei sali minerali. Il paese è molto caratteristico, è piacevole pranzare e abbioccarsi all’ombra di un antico ponte residuo della dominazione veneziana.
Terminata la pennica, riprendiamo il cammino. Degno di nota è questo simpatico intramezzo: durante il percorso sulla ciclabile, ci imbattiamo in un team di tagliaerba. Tutti belli e in divisa alta visibilità, con a capo due persone muniti di fischietto che appena ci vedono il più vicino lancia un fischio e tutti i tagliaerba si fermano per farci passare. In più, al nostro passaggio, un bel “buongiorno!” in coro da parte degli operai. Che servizio!
Per rendere la tappa un po’ varia e meno prevedibile, facciamo una deviazione a visitare un bel BIOTOPO detto Fontanazzo, ovvero una serie di stagni e zone umide in cui un piccolo ecosistema è in perfetto equilibrio. Lungo i sentieri sterrati a lato di prati con erba molto alta, Cits nota su un legno a bordo del sentiero un serpente nero a prendere il sole. Non sapendo se sia vipera o biscia, non ci avviciniamo troppo, ma di quel che basta per scattare qualche foto ben piazzata, cosicché i rettilone si stufa e striscia via.biscia
La valle del Brenta cambia aspetto, diventa più profonda e incisa e non lascia più spazio ai prati a lato. Infatti il pericolo di caduta massi è reale, ma la pista ciclabile è ben protetta da una specie di protezione che ricorda la gabbia degli pterodattili nell’ultimo film di Jurassic Park.

Siamo ormai giunti a Cismon del Grappa, basta Brenta, basta pista ciclabile, ma soprattutto basta discesa. Bisogna salire fino ad Arsiè che è già provincia di Belluno, e per farlo prendiamo una strada chiusa al traffico e poco mantenuta, ma bellissima per noi: si fa strada nella roccia, con tornanti molto tosti e mezze gallerie.salita da cismon
Una volta scollinati ci affacciamo su un bel balcone per ammirare il panorama in cui domina il lago del Corlo, un invaso creato da una diga dell’Enel. lago del Corlo

Da qui al campeggio link: http://www.campinglago.info è tutta discesa, arriviamo e facciamo a tempo a montare la tenda che comincia a gocciolare. Pace, ormai il più è fatto. Andiamo a cenare. La cena dei campioni consta nell’ordine in due pizze, quattro birre medie, un antipasto speck e formaggio Piave, due grappe e due fette di torta. Belli impanzonati e stanchi ci corichiamo, la pioggerellina diventa insistente e tempo due minuti diventa temporale. Che palle speriamo che la tenda regga la pioggia, dice Cits. A un certo punto, ormai vicini al sonno, percepiamo un abbaglio seguito immediatamente da un tuono che sembra una bomba esplosa di fianco a noi, con una coda ruggente che sembra infinita. “Siamo sotto un albero, dovremmo spostarci” dico io, commento del Cits: “Beh dai, ci sarà un altro albero più alto nei dintorni! Non colpirà proprio questo!”. Buonanotte.

altimetria

altimetria giorno 1

29 maggio 2014. Arsiè – Valle Imperina (Agordo)

Risveglio alle 5:00. No troppo presto! Risveglio alle 7:00, meglio. C’è il sole!! Ci sbrighiamo con una colazione frugale cappuccino e brioche, approfittiamo del bell’inizio di giornata e facciamo asciugare tenda, calze, mutande, magliette e anche noi stessi. Salutiamo il campeggio e ci mettiamo a pedalare di nuovo, cercando di seguire la via ciclabile tracciata dall’avvenente cameriera che ci ha simpaticamente servito la sera prima.

A dire la verità, il percorso non è un granché. Niente di speciale se non strade larghe in zone industriali o di collegamento. C’è di buono che la nostra direzione è Pedavena, città famosa per la fabbrica di birra, infatti, nonostante siano le 11:00 ci fermiamo al bar perennemente aperto per gustarci del nettare alcolico. Se non altro, è un po’ come pensare a un reintegro sali minerali preventivo!

pedavenaConsumata con soddisfazione la nostra bibitona, riprendiamo la pedalata seguendo un itinerario pedemontano che tocca i paesi di Cesiomaggiore (paese dei ciclisti), San Gregorio nelle Alpi e Sospirolo. Se fino a San Gregorio il tracciato è stato caratterizzato da maledetti falsipiani spacca gambe, da lì fino a Sospirolo finalmente una discesa! È la prima ed è pure molto tecnica, la velocità massima è di circa una sessantina di km/h. Missili con le borse.
A Sospirolo ci fermiamo a pranzare, in quanto è l’ultima città prima di addentrarci nel Parco delle Dolomiti Bellunesi. Durante la sosta il cielo è coperto, anzi, verso la piana del Piave il cielo ha coperto il suolo: non si distingue più dove un confine fra i due, brutto segno, pioggia a valanga.

cielo plumbeoNoi, impotenti, possiamo fare solo una cosa: scappare in direzione opposta, ovvero nella valle del Mis, la nostra direzione. Dopo aver addobbato le borse e noi stessi in modalità antipioggia, partiamo senza indugi imboccando la valle. I primi 2 km li percorriamo sotto una pioggerella che temiamo sia il fronte della tempesta alle nostre spalle, ma il cielo sembra schiarirsi sopra le nostre teste. La fiducia sale e ne approfittiamo per fermarci spesso a godere del bellissimo panorama che offrono la vallata e il lago,  un altro invaso di una diga. L’acqua ha un colore verde incredibile, che assieme a quello della vegetazione mette ancor di più in risalto le rocce affioranti fra la coltre vegetale.valle del mis, gallerie
Lasciato il lago alle nostre spalle, la valle si chiude attorno al torrente che gorgheggia con la sua acqua trasparente e la strada si fa spazio fra i fianchi del versante con delle splendide gallerie scavate nella roccia. I bei paesaggi passano in secondo piano quando cominciamo decisamente a salire, siamo a quota 500 m s.l.m. e la strada comincia a impennarsi e non smetterà fino a quota 990 m s.l.m. a Forcella Franche.

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Poco prima di raggiungere il passo, in località Tisér, ci siamo fermati a una fontanella per riempire le borracce ormai vuote. Un signore sceso da una macchina, si è avvicinato per abbeverarsi. Inevitabilmente ci siamo messi a chiacchierare con lui sul nostro itinerario, durante il discorso è venuto fuori che lui ha gareggiato per una decina di anni anche come professionista. E ci ha rivelato che ha vinto l’oro a Roma (Olimpiadi di Roma, 1960) in bicicletta. Così ha detto: “tu sai navigare in internet, no? Cerca allora Franco Testa.” Eccolo: http://it.wikipedia.org/wiki/Franco_Testa.

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Salutiamo il simpatico campione e terminiamo l’ascesa ai 990 m di quota con una rampa talmente in pendenza che è proprio da masochisti piazzarla alla fine. Per fortuna  ora ci aspetta una discesa infinita fino all’ostello della Valle Imperina. Una volta raggiunto ammiriamo con piacere come il posto, un antico complesso minierario, sia stato perfettamente restaurato e reso fruibile. Siamo gli unici ospiti. Ci sono solo il cuoco, un taciturno signore sulla sessantina, e un ragazzone aiutante. L’anziano è abbastanza inquietante, parla poco e ha un senso dell’ironia come un venditore di spazzole a una festa per calvi. Ceniamo abbondantemente come se non mangiassimo da giorni, e felicemente, alle 22 di sera, ci corichiamo su dei morbidi e asciutti letti.

valle imperina - miniere

NB: Profili altimetrici divisi in due parti causa blocco gps, il primo è Arsià – Sospirolo, il secondo dalla fine della valle del Mis fino alle miniere. Sul secondo si vede il picco in località Tiser. (Forcella Franche)

Arsià - Sospirolo

Arsià – Sospirolo

dalla fine della valle del Mis fino alle miniere

dalla fine della valle del Mis fino alle miniere

valle del mis - forcella franche

valle del mis – forcella franche

30 Maggio 2014. Valle Imperina (Agordo) – Erto (Vajont)

Al risveglio siamo sempre noi due e il cuoco con il suo aiutante. Confermo i pensieri del giorno prima: oggi però sembra più un malgaro trapiantato a forza lì in quel posto, non dice una parola e la sua unica preoccupazione è che non gli finiamo le torte. Prima di lasciare il bell’ostello, scambiamo due parole, ma giusto due, con il cuoco. Ci consiglia caldamente di lasciar perdere la salita del passo Duran, è troppo dura, soprattutto con le borse ai portapacchi. Ci invita invece a percorrere la comodo e trafficatissima strada che scende a valle. “Si si grazie, adesso ci pensiamo!”. Non attacca.
Dopo un breve giro per le miniere, ci biciclettiamo. Ed è subito salita! Dopo un paio di km, lasciamo la SR e due simpatici ciclisti in là con gli anni che ci hanno accompagnato per questo breve tratto. L’ultimo sguardo con uno dei due lascia intendere un senso di ammirazione per questi due giovani coraggiosi, ma in realtà forse era un ghigno, come per dire “babbei!”. Tecnicamente la salita è lunga circa 13 km, con un dislivello di 1000 m, mai un pezzo in piano, pendenze fra 8-10% con punte anche di 13, come si vede dal profilo altimetrico. Una lunga salita con pochissimi tornanti, solo lunghe curve e rettilinei che fanno scendere il morale a qualsiasi ciclista.

duran

Quello che non si vede dal profilo altimetrico è il bel paesaggio che scorreva intorno a noi: rigogliose foreste di conifere che fanno da slancio a imponenti massici dolomitici che si stagliano improvvisi.

duran 2A rovinare queste belle visioni c’è purtroppo un traffico veicolare intenso. Moto di tutti i tipi e noiosissimi tamarri in macchina si divertono a fare salita-discesa-salita-discesa non proprio rispettosamente, né nei nostri confronti, né nei confronti degli altri automobilisti. Dei cazzoni insomma.
Tornando alla cronaca, la salita è veramente impegnativa, e ogni 10/15 minuti è d’obbligo una pausa per tirare il fiato, per bere e per riposare un pelo le gambe. Per la prima volta sento di avere bisogno di sali minerali veri, non birra. Prendo la bustina che la mia santa ragazza ha sapientemente infilato nel kit del pronto soccorso e disciolgo la polverina nella borraccia, da cui tracanno delle ingorde sorsate. Canticchiando “Every you, every me”, riparto alla grande forte dell’effetto Placebo, che si esaurisce dopo una mezza curva quando vedo un cartello di pericolo con segnato 15%. Doh! Fanculo, piuttosto rampichino, ma non la farò mai a piedi! Alla fine dello strappo ammazza gambe, si sbuca in un bel pianoro, ormai prossimi al passo. Mi raggiunge Cits e insieme arriviamo al passo Duran, quota 1605 m sul livello del mare!

Alte vette dolomitiche (San Sebastiano e Moiazza) sembrano immense e noi piccolissimi. Un ciclista, di quelli seri, ci fa i compimenti per essere venuti su con le mountain bike e le borse, vorremmo che anche il cuoco dell’ostello fosse qui. Tempo delle gloriose foto e poi..birraaaaaaaaaaa!!

passo duran

passo duran

Purtroppo i due rifugi sono chiusi o non  troppo ospitali, quindi decidiamo di iniziare la discesa che ci porterà fino a Dont, un paese con un nome che è una meraviglia.

duran, discesaLa discesa è una bomba: la strada, non particolarmente larga, passa attraverso boschi di larici e abeti, i nevai sono a bordo strada. Ma il desiderio di non fare fatica in discesa vince, quindi non ci fermiamo a fotografare questo spettacolo che merita di essere immortalato. La discesa perde quando incrociamo un agriturismo lungo la strada. Ci scofaniamo carne secca, formaggi, salumi, gnocchi con burro, ricotta salata e pancetta, tagliatelle al ragù di cervo, caffè e grappe. Ah, ovviamente 4 birre.


Dopo la sosta ci rimettiamo in sella, un ciclista ci supera. Per Cits è un affronto, parte all’inseguimento in discesa. Io non reggo le velocità folli quindi sono più prudente e rimango un po’ più dietro, mentre Max alla fine riesce nel suo intento e il ciclista cede. Rallentano e si mettono a chiacchierare. L’amico ciclista, che ci ha preso in simpatia, si gode la discesa con noi e ci accompagna per un pezzo. A Dont ci dobbiamo fermare per fotografare il cartello del paese, ci tenevo.

dontA Forno di Zoldo il ciclista ci saluta e intraprende una salita intensa e pazzesca fino ad Astragal, con pendenza media del 16% e  punte fino al 20%.

Proseguiamo per la valle e ci impattiamo in un laghetto creato da una diga, quello che colpisce è che la diga è molto più alta della quota dell’invaso. Si vede lo scarico di superficie ormai inutilizzato (sfioro a calice, nota dell’ingegnere) e il nuovo scarico di troppo pieno.

diga lago di pontisei

È stato immediato pensare che la quota dell’invaso fosse stata abbassata per qualche problema. Ne ho la conferma quando leggo il cartello dell’Enel “lago di Pontesei”, e mi torna in mette lo spettacolo di Paolini sul Vajont: pochi anni prima del disastro che distrusse Longarone, una frana cadde nel lago di Pontesei e generò un’onda anomala che uccise il guardiano della diga. Un campanello di allarme sottovalutato, purtroppo.

diga vajont vista da longarone

diga vajont vista da longarone

Ormai la valle è finita.  Arriviamo a Longarone, appena la vista si libera sulla valle del Piave, si vede ben netta la gola con la famosa diga racchiusa fra le ripide pareti della forra. Impressionante anche da qui. A Longarone visitiamo il museo alla memoria della tragedia, ben fatto e ben documentato.

Ripartiamo con un po’ di magone alla volta di Erto. La salita, circa 4 km con dislivello di 300 m, ci impegna discretamente, ma dopo il passo Duran mi sento fortissimo! Terminata la salita, la strada si fa largo con delle belle gallerie nella roccia, ormai dovremmo essere nella valle del Vajont, si dovrebbe vedere..eccola! la diga è altissima. Slanciata fra le pareti a strapiombo della strettissima gola. Ancora più impressionante è la frana: la massa di detriti che riempie lo spazio dove c’era il lago è enorme, infatti la sommità della zona di deposito della frana è a una quota ben più alta di dove c’era l’invaso, molto più alta anche del coronamento della diga! Sul pendio del monte Toc si vede benissimo la “M” del distacco.

frana, stacco a M

frana, stacco a M

Stando qui ci si può fare un’idea di quello che è successo il 9 ottobre 1963, a casa non si può realmente comprendere. I numeri e i dati non rendono bene l’idea come invece fa la vista.

erto
Arrivati a Erto, ci addentriamo nel centro storico, quello sotto la “quota di sicurezza” di 830 m sul mare. È un bellissimo borgo, ma abbandonato in parte, di fianco a case fatiscenti e pericolanti ci sono abitazioni recentemente restaurate, cartelli di vendita ovunque. Una signora esce di casa, forse una delle poche abitanti della vecchia Erto, e ci da le indicazioni per raggiungere il bar Julia, dove dovremmo incontrare la signora Mariagiacoma che ci accompagnerà nell’abitazione del nostro albergo diffuso.

Di fianco al bar, c’è la bottega di Mauro Corona, riconoscibile dalle sculture lignee. Al bar ci prendiamo le nostre solite birrette e scambiamo quattro chiacchiere con la signora, dopodiché ci accompagna al nostro alloggio nella vecchia Erto. La nostra casa è una di quelle appena restaurate, finiture in legno nuovissimo su tre livelli, scalini impervi, porte basse.

albergo diffuso

Tempo di riprenderci e torniamo al bar trattoria di Mariagiacoma per cena, gustiamo una zuppa di ortica e del frico, tipico friulano. Davide, il figlio della proprietaria, ci da delle dritte sull’itinerario che vorremmo fare il giorno dopo in mountain bike, accompagna dunque Max su a casa per stampare la cartina, mentre io passo i 20 minuti più lunghi della mia vita con il bambino più chiacchierone di Erto: Leonardo, il figlio di Davide. Alla fine non ce la faccio più e propongo a Leonardo di salire a casa per recuperare Max, avevano finito da un sacco ma si sono persi via a raccontarsi un po’ di storie. Prima di andare via, Davide ci offre una grappa al basilico fatta da lui, non male per essere del pesto senz’aglio macerato nell’alcol! Scherzo era buona! Salutiamo e ce ne andiamo nel paese fantasma per un bel sonno al termine di questa giornata di tappa alpina.

altimetria giorno 3

altimetria giorno 3

 

31 maggio 2014. Valle del Vajont – Erto

Risveglio calmo, come l’ambiente impone, colazione con caffè della moka e pane di ieri ancora buono, preso in prestito dal cuoco dell’ostello di Valle Imperina. Oggi ci dedichiamo alla parte più da “turisti per Casso”, andiamo infatti a visitare il museo di Erto. Il posto è diviso in due sezioni, la prima prettamente fotografica sulla valle e la diga con evidenti paragoni fra il prima e il dopo 9 ottobre, la seconda parte è invece su aspetti tecnici della diga, della frana, dell’onda, delle vicende giudiziarie e sociali post tragedia. Scopriamo, grazie a una scolaresca in visita, che nel pomeriggio ci saranno delle visite guidate presso il coronamento della diga, organizzate dal Parco delle Dolomiti Friulane. erto

Passiamo quindi a prenderci dei panini all’alimentari di Erto, già che ci siamo andiamo al bar Julia a farci un paio di birrette per accompagnare i panini. Incontriamo un’altra signora, Rossana, moglie del Corona che ha l’enoteca di Erto, zio acquisito di Davide, figlio di Mariagiacoma che ci ha aiutato la sera prima con le stampe. Lo zio di Davide è anche il fratello della madre di Giada Corona, la ragazza del punto informativo alla diga. Tutti parenti, tutti Corona.

la guida

Arriva la guida, Franco. Incentra la sua spiegazione da un punto di vista globale, che tocca aspetti naturalistici, geofisici, un po’ ingegneristici, ma soprattutto sociali.

Ha coinvolto in modo particolare il racconto dell’impatto e ciò che è successo: lo spostamento di acqua indotta dalla frana ha raggiungo un altezza di 400m sopra la quota del lago, andando a lambire l’abitato di Casso che si è trovato davanti a un muro d’acqua. La successiva ripartizione dell’onda ha preso tre vie: una è ritornata indietro sul deposito della frana, quella di destra è risalita lungo la valle in direzione di Erto che si è salvata per la morfologia dei versanti. La massa che ha preso la via di sinistra, quella verso il Piave, ha tracimato la diga con un fronte di acqua alto circa 200 metri sopra il coronamento, si è infilata nell’orrido del Colomber

orrido del colomber

orrido del colomber

dove ha acquisito velocità per il restringimento imposto dalla gola, è sbucata nella valle del Piave con una violenza tale da scavare nel letto ghiaioso del fiume un buco di 60 metri di profondità, portando distruzione. Mi ha colpito la notizia che i morti di Longarone non siano annegati, non sono stati rinvenuti cadaveri con acqua nei polmoni. Ciò che ha ucciso, è stata l’aria surriscaldata per effetto della compressione indotta dall’enorme massa d’acqua in movimento. L’aria, probabilmente resa irrespirabile, ha bruciato i polmoni delle vittime. Dal coronamento abbiamo potuto vedere lo scorcio su Longarone, ed è facile vedere l’onda che corre verso l’abitato, così come ieri da Longarone è stato facile immedesimarsi negli abitanti, con una immaginaria visuale di un fronte d’acqua che esce come da un catino, grosso 160 milioni di metri cubi e alto 260 metri. Fa un certo effetto vedere la zona di distacco della frana e la sua zona di accumulo, la diga, il coronamento danneggiato con i ferri piegati, e laggiù in fondo Longarone. Sono morte 1913 persone.

diga del vajont

Terminato il tour della diga, con  un misto di felicità idraulica e sconforto, inforchiamo le bici e percorriamo la strada che sale sul deposito della frana. È bellissimo vedere come la vegetazione, la dove c’era un paesaggio lunare, si sia espansa con boschi di larici, abeti,noccioli, ontani e altre piante. Percorrendo la bella strada, alternata a fresche frasche e fredde gallerie, deviamo verso il sentiero che porta verso il torrente Vajont. Una strada ripida e sterrata ci porta nell’alveo ghiaioso dove si riesce poco a pedalare, inoltre, visto che il sentiero prosegue dall’altro lato, dobbiamo guadare!Via le scarpe, bici a mano e hop!! Acqua fottutamente gelida!

guadoPer risalire al paese il sentiero è troppo “erto”, bici a mano e spingere! Credo che avremo fatto 300 metri di dislivello, in un bosco di larici veramente magico.

La sera decidiamo di andare all’enoteca di Marco Corona, marito di Rossana del bar Julia, sorella di Mariagiacoma. Marco è felice di vederci e ci offre un bicchiere di vino che non si dovrebbe nemmeno tenere sottobanco: il clinto. Verremo poi a sapere che l’abuso di clinto provoca cecità, paralisi, dittatura, pestilenze e Chuck Norris. Ma questo non lo potevamo sapere ancora. Di fianco a noi, al nostro stesso tavolo, si siede una coppia di signori, che da subito attaccano a parlare, anzi, solo lui. Parla tantissimo, per tutta la sera, e man mano che beve le sue birre, diventa più spigliato a scapito della completezza dei discorsi. Così mentre noi ci mangiamo un tagliere rotante di salumi, lui parla e parla, concludendo ogni tanto con un “o no, Grazia?”, chiedendo conferma alla povera moglie che chissà quante volte aveva assistito a questa scena. Un altro intercalare che usa spesso, e mi fa ridere un sacco, è: “ma questa è un’altra storia”, lo mette sempre fra un discorso e l’altro in modo che non si capisca un cazzo di quel che sta raccontando. Solo l’intervento di Grazia riesce a rimette un po’ di ordine nella dialettica, mentre suo marito se la ridacchia sotto quei baffoni, pensando di condividere con noi i suoi simpatici ricordi sortendo l’effetto delle sue improbabili spiegazioni.

enoteca corona

Dopo due ore, è il momento di dire basta, così ci alziamo e cominciamo a salutare i compagni e gli altri presenti, ma non possiamo uscire senza la grappa offerta da Marco, e quindi dai!! Adesso veramente possiamo andare. Usciamo dall’enoteca salutando tutti come se fossero i nostri migliori amici, e in quel contesto forse lo sono veramente. Simpatici questi ertani del casso.

1 giugno 2014. Erto – Pordenone

Sveglia alle 7. Oggi bisogna fare un sacco di km per essere a Pordenone nel pomeriggio e prendere il treno per Milano. Andiamo dalla Maria, facciamo colazione, saldiamo il conto e salutiamo! Pronti via, facciamo un km di discesa e poi subito salita, per fortuna breve, verso il passo San Osvaldo.

passo s osvaldo

passo s osvaldo

Dal passetto, un sacco di discesa per la Valcellina a bomba fino a Barcis.

Durante il tragitto il torrente Cellina offre spettacoli con il suo colore lattiginoso per via dell’elevata torbidità, fra ciottoli e pendii pieni di verde.

Verde è anche il colore del lago in cui si specchia Barcis, ne percorriamo la sponda che non passa dal centro abitato e scegliamo bene: ci imbattiamo nell’ennesima diga, piccola, ma simile al Vajont (a doppio arco, n.d.ing.) e con sfioro a calice, un piacere idraulico. La cosa bella è che la strada passa per una piccola galleria in curva, scavata nella roccia, e continua poi sul coronamento della diga fino dall’altra parte.

Poco più avanti lungo il percorso imbocchiamo la strada vecchia della Valcellina, un itinerario di pochi km per l’antica via di collegamento ora chiusa al traffico e severamente regolata anche ai turisti in quanto riserva naturale. È molto suggestivo passare vicino alle pareti di roccia scavata: sono delle mezze gallerie, ma con sopra la testa un balconcino che sostiene un’intera parete. Anche il torrente è incredibile, nonostante il suo colore blu intenso, l’acqua è trasparentissima e si vede molto in profondità.

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Al termine del percorso siamo indecisi se continuare abusivamente sulla vecchia regionale chiusa, o se uscire dalla riserva. La prima opzione ci farebbe risparmiare un sacco di strada e di salita, ma pare che a un certo punto la strada si inabissi nell’invaso creato da una nuova diga, appena ultimata. La seconda scelta prevede inoltre una salita verso la Forcella di Pala Balzana, che a questo punto del nostro itinerario, non è che sia proprio una cosa fondamentale. Il guardiano all’uscita della riserva, ci fa capire che non sarà lui a proibirci di passare dalla strada chiusa, ma ci fa capire che il problema non è tanto la pericolosità della strada, quanto scavalcare delle recinzioni alte un paio di metri con le bici. Lasciamo perdere, facciamoci sta salita.

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Tutti ci hanno rassicurato dicendoci che se abbiamo fatto il passo Duran, questa sarà una passeggiata, noi ci crediamo quindi mettiamo le ruote in direzione Pala Barzana. In realtà, forse per la stanchezza accumulata e un po’ per le solite borse pesanti, io fatico , ma non demordo. La strada in effetti è meno pendente del passo Duran, il vantaggio di non sentirsi obbligati a fare delle pause per riprendere si sente eccome. L’ascesa è bella, ma a un certo punto la strada viene interrotta da un divieto. Ce ne freghiamo e proseguiamo. Dopo poche centinaia di metri c’è proprio un cantiere, la strada è franata! Tuttavia c’è uno spazietto sufficiente per passare, e così facciamo. Il proseguo della salita è una meraviglia, tornanti stretti, bosco fitto, ma soprattutto: NESSUNO. Spadroneggiamo fino a quota 840 m s.l.m., eccoci arrivati.

pala barzana

pala barzana

Ora ci aspetta una goduriosa e lunga discesa, al sole, senza nessuno, le nostre ruote disegnano traiettorie spettacolari.
In pochissimo tempo arriviamo a Poffabro! Proprio un bel borgo. Qui incontriamo una coppia di ciclisti, Vittorino e Gabriella, da Vittorio Veneto. Con loro ci fermiamo in un osteria per pranzo, ci gustiamo degli gnocchi con un erbetta selvatica buonissima. Scambiamo delle belle chiacchiere sorseggiando la nostra immancabile birra, prendendoci il tempo che ci spetta. Ma è l’una, è ora di andare.

poffabro

poffabro

Salutiamo i signori e ci rimettiamo in sella verso la pianura, ma prima del piattume, un ultima discesa! Giungiamo a Maniago e salutiamo le Dolomiti. Verso Pordenone passiamo per il comune di Vajont, creato per ospitare gli allora sfrattati ertani e cassesi, esodati per i “rischi” del dopo tragedia. Ma non c’è tempo di fermarsi, abbiamo un treno da prendere alle 14:42! Mission impossibile.

Pedaliamo fortissimo, dandoci i cambi per aprire i varchi nell’aria e mantenendo così un’elevata andatura fra i 30-35 km/h, che per noi sono tanti.

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Arriviamo in stazione alle 14:38, giusto in tempo per fare i biglietti con supplemento bestemmie litigando con la macchinetta automatica. In treno Max trova Paolo, un suo amico cislista in compagnia di altri compari, di ritorno anche loro da un bel giro. Ma tu pensa a quanto è piccolo il mondo! Così, tutti in direzione Milano, salutiamo le strade. Adesso ci aspettano 5 ore di viaggio in cui pensare, guardare foto e scrivere di questa bella vacanza!

 

Una nota di cits: un grande grazie Fabio per  l’entusiasmo in viaggio e durante la stesura di questo appassionato diario! E’ stato un piacere averti come compare di ciclo-viaggi!

viaggio in bici maggio 2014, valsugana e vajont -pianificazione

Itinerario completo (pianificato, da aggiornare) http://goo.gl/maps/8moZ8

GIORNO 1 – mercoledì 28/5/2014 – 90 km
Treno da Milano C.le ore 6:25, 8:46 da Verona, coincidenza 20′, prezzo 18.8 euro + 3.5 bici. Da Trento (arrivo intorno 10) c’è una ciclabile della valsugana http://www.piste-ciclabili.com/itinerari/83-itinerario-della-valsugana , poi, se si può, io propongo all’altezza di Cismon del Grappa di seguire  il torrente Cismon controcorrente,’affluente del Brenta che arriva dal Lago di Corlo, e fermarci a dormire in zona Arsiè dove c’è un campeggio: http://www.campinglago.info/index.php-action=notizie&idcat=23&modvis=0&chsez=7.htm (Via campagna 14/l -Rocca di Arsie’ (BL) – 0439 58540 )

GIORNO 2 – 70/80 km – giovedì 29/5/2014
Da Arsiè fino a località Le Miniere • Rivamonte Agordino dove pernotteremo nell’ostello http://www.ceisbelluno.org/cooperative/OstelloValleImperina.htm (Telefono 320 6520183). Come itinerario conviene stare lontani dalla provinciale e costeggiare i versanti della valle attraversando paesi tipo Foen, Fianema, Cesiomaggiore,San Gregorio nelle Alpi,.., raggiunto l’imbocco della valle del Mis ci inerpichiamo per la metà dell’anello nel Parco delle Dolomiti Bellunesi.

GIORNO 3 – 50 km – venerdì 30/5/2014
Da Rivamonte Agordino fino a Erto. Dall’ostello possiamo decidere se terminare l’anello e scendere in pianura passando per Belluno e risalire il Piave, oppure continuare per la valle Agordia in salita fino a Fono di Zoldo e arrivare a Longarone dalla valle che arriva alle sue spalle. A Erto si può prenotare all’albergo diffuso presso Casa Meneghin in Via Pier Fortunato Calvi (0427 878445 – 338 1570963)

GIORNO 4 – 20 km – sabato 31/5/2014
Giro Vajont versione MTB, vedere il sito http://www.themtbbiker.com/valle-del-vajont.html#.U4JSJXJ_uzE. Impegnativo ma appagante, potremmo lasciare i bagagli all’albergo diffuso e dormire lì ancora.

GIORNO 5 – 60 km – domenica  1/6/2014
Da Erto verso Pordenone. Scendiamo percorrendo la Valcellina, facendo la strada vecchia nel parco che capita a fagiuolo, http://www.riservaforracellina.it/ ).
Ritorno da Pordenone a Milano via Venezia Mestre, purtroppo bisogna fare cambio anche a Verona. La soluzione che ho trovato io è: 14:42 Pordenone e arrivo  Mestre alle15:44, ripartenza alle 16:24 e arrivo a Verona alle 17:39, ripartenza alle 18:10 e arrivo a Milano alle 20:05. Resta da vedere se riusciamo ad essere in stazione a Pordenone alle due e mezza!!

2013 bici austria slovenia

una selezione delle foto del viaggio:

https://www.gambaraalcoolica.it/pictures/index.php?/category/27

Mappa dell’itinerario: https://mapsengine.google.com/map/edit?mid=zgLcv6eaejRY.kZWSOQVPdJuY

Le tappe (giorno – partenza – arrivo):

1 fortezza – rasun
2a – rasun – san candido
2b – san candido – oberdrauburg
3 – oberdrauburg – dobriach
4 – dobriach – villach
5 – villach – kranjska gora
6a – kranjska gora – kobarid
6b – kobarid – tolmin
7 – tolmin – gorizia

Bernina Passau Praga, cicloturismo, 2009

http://goo.gl/maps/iTM7

ven 14/8/09 – dom 30/8/09
giorno 0, ven 14/8/09
Milano – Varenna (treno)
Rik ed io prendiamo il treno da Centrale verso Varenna per dormire a casa di Paola.
Rik, nottetempo, con gli strumenti del padre di Paola, punte millimetriche del 4.6, aggiusta il portapacchi della sua bici, o meglio, di sua sorella!
Firmiamo il frigo di Paola per testimoniare il passaggio.

Giorno 1
Bernina – Madulain
Varenna, rendevouz con tutti, leghiamo le bici in treno e si parte. A Chiavenna Marisa scende per scalare il Maloja. Noi proseguiamo fino a TIrana, poi col treno svizzero del Bernina. In treno conosciamo un ciclista di endurance che fa gare di 29h alla media di 28km/h !
Scendiamo a Spizio Bernina, in bici fino al passo Bernina, poi discesa. Mi perdo al bivio dopo la prima salita. Ritrovo tutti al ghiacciaio Morteratsch.
Salita a piedi sul ghiacciaio, ovviamente freddo becco.
Campeggiamo a Madulain, le ragazze dormono nelle tipiche botti del campeggio. Pizza a La Punt.
Salutiamo le autoctone che ci rispondono con il tipico saluto svizzero: “Allegra”!

Giorno 2
Madulain – Zernez
Lasciamo le borse al campeggio per la prima salita nella splendida valle Chamues (Chamuera in italiano) con un faticoso sterrato dove perdo il faro anteriore. Lo ritrovera Marisa!
Arrivati al passo, pranziamo al sacco. La discesa dà molte soddisfazioni.
Ci separiamo, Duccio mi trascina verso il treno e poi ai pedali sul passo dell’Albula, quota 2314, foto e spilla commemorative, discesa in tempi record (13′).
Torniamo per un pezzo in treno, recuperate le borse al campeggio cerchiamo di raggiungere gli altri prima del tramonto. Ingaggiamo una gara con dei cicloturisti ex DDR.
Arriviamo in ritardo al campeggiamo a Zernez, qualche muso lungo ad attenderci.

Giorno 3
Zernez – Scuol
Colazione coop.
Attraverso una faticosa salita, passando dai paesini di Sus, Lavin, arriviamo a Guarda, dove io e Rik pranziamo sulla panchina e aprofittiamo per stendere le tende bagnate ad asciugare al sole, con irritazione degli autoctoni.
Facciamo due chiacchere con due ragazze cicloturiste francesi.
Proseguiamo per Scuol, dove campeggiamo in un posto magnifico, oltre al ponte sul fiume, da cui si gode di un bel paesaggio.
Ci rilassiamo alle terme, con sauna e docce scozzesi, per finire con una pizza alle 11!

Giorno 4
Scuol -Martina –  Landek
Ci dividiamo, Duccio, Paola, Elena ed io ci rechiamo ad un castello imperdibile, dopo una salita insormontabile, purtroppo è chiuso.
Ritroviamo gli altri che si sono fermati ad asciugare le tende qualche km dopo
L’ultimo pranzo svizzero lo consumiamo pochi metri prima di Martina, al confine con l’Austria. Rik stupisce tutti con il tagliere della nonna, estratto magicamente dalla borsa di Eta-Beta, affetta salumi e formaggi.
Passiamo dalla splendida valle, molti tunnel della statale.
Arriviamo a Landeck, in Austria, dove un gentile ospite ci accoglie nel suo b&b. Anche la cameriere del ristorante si ferma volentieri a scherzare con noi.
Marisa, dura e pura, dorme in campeggio, sotto un albero di frutta, i cui frutti grandinano sulla tenda di notte.

Giorno 5
Landek – Innsbruk
Partiamo alle 9.30, percorriamo il fiume Inn fino a quando si allarga parecchio, una parte del letto ghiaioso è asciutto. Ne aprofittiamo per scendere a fare la pausa pranzo.
Vediamo parecchie persone che fanno rafting lungo il percorso.
Arrivati ad Innsbruk, fatichiamo un po’ per trovare l’ostello, che è un po’ in periferia. Dobbiamo telefonare e chiedere indicazioni direttamente a loro!
Perdiamo Roberto in giro, ma all’ostello conosciamo Miriam, italiana, che ci fa compagnia durante la visita notturna della città. Per l’occasione lasciamo riposare le biciclette e le gambe e prendiamo autobus e al ritorno il taxi.
Ci corichiamo nella mini stanzina dell’ostello, da 6 persone con letti a castello tripli!

Giorno 6
Innsbruk – Wattens – Schwaz – Kufstein
Partiamo presto, alle 9, una pausa a Wattens, al museo di Swarowsky, dove c’è la famosa fontana all’ingresso.
Altra pausa, per il pranzo, nel cortile della chiesa di Schwaz, Parish Church, con i suoi stupendi portici.
Il pomeriggio prosegue in tranquillità, sulla ciclabile lungo il fiume, forse troppo, tanto che ci distraiamo e avviene quasi un tamponamento tra le nostre bici.
Arrivati a Kufstein, non troviamo posti liberi per tutti nelle locande, nè negli alberghi. Ci dividiamo, Rik, Marisa ed io cerchiamo il campeggio della città, scopriamo però che quello che la nostra guida segnala, in centro, è chiuso da tempo per un crollo. Affrontiamo la salita per cercarne un altro, arriviamo al www.camping-maier.com davanti ad un’ottima trattoria, che ci sfamerà dalle lunghe ore in bici.
Marisa ed io decidiamo qui di iniziare a scrivere la cronaca del viaggio.
Rimaniamo molto impressionati dai Rad bike service point, lungo la strada si trovano dei box di metallo che contengono una attrezzatura molto fornita per eseguire la manutenzione della bici: chiavi, brugole, pompa con compressore, pinze, … In Germania se ne trovano di simili, ma in Austria sono più curate. In italia forse durerebbero 1 ora!

Giorno 7
Kufstein – Wasserburg
Ci svegliamo presto, non ha piovuto ma la tenda è umida.
Alla guest house di ieri sera facciamo una colazione molto abbondante, alla tedesca, ci siamo abituati subito agli affettati la mattina!
Di conseguenza quando torniamo a valle per ritrovarci con gli altri alla stazione siamo in ritardo.
L’Austria batte la svizzera ad ospitalità, cucina e simpatia, ma dopo aver pedalato nelle splendide valli dell’Engadina, la ciclabile lungo questo tratto sull’argine dell’Inn ci sembra un po’ pallosetta. Non migliora molto l’entusiamo avere i cartelli chilometrici sulla ciclabile che ci segnalano la distanza da Passau.
Decidiamo quindi per una deviazione, giungiamo ad una fattoria sperando di recuperare del cibo, ma i fattori sembra che siano momentaneamente assenti. Poco male, a quanto pare hanno una smodata fiducia nel prossimo, il loro negozietto di prodotti biologici e locali (formaggi, yogurt, frutta, pane) è fai-da-te, ovvero, come spiega un cartello, scegliamo, tagliamo, pesiamo, facciamo i conti e mettiamo i soldi nell’apposita cassetta! Chapeau!
Ancora qualche chilometro e trovato uno splendido, ampio, ombreggiato e paludoso argine, ci fermiamo a pranzare.
Troviamo un’altra fattoria deserta, e poi un cimitero, (feldkrinken?) dove poco romanticamente riempiamo le borracce.
Riprendiamo la ciclabile: l’ultimo tratto è tutto sterrato, un bel sentiero saliscendi tra il bosco e il fiume, che si affronta meglio con le mountain bike, dove mi diverto un mondo ma probabilmente danneggio le borse!
Arriviamo a Wasserburg, stupenda città medievale costruita nell’ansa dell’Inn, e in pieno centro Rik si addormenta appoggiato al muro, sfinito. Io e Roberto cerchiamo un ostello, vista l’aria di pioggia imminente il campeggio sembra poco pratico, ma dopo varie telefonate non ne veniamo a capo. Un’ultima telefonata ci fornisce un ostello libero, vado in avanscoperta a verificare, peccato sia alla fine di una salita interminabile e che non vedendolo al primo colpo me la rifaccio due volte!
Alla sera, benchè stravolti, non ce la sentiamo di lasciare inesplorato questo splendido borgo, ci rechiamo quindi in centro a bere birra e mangiare in una locanda molto carina, dove Marisa prende la birra grande (1L !!! ma forse ricordo male 😉
Rik ed io decidiamo di terminare la serata con una sfida in sala giochi, calcetto contro autoctoni, persa causa ganci!

Giorno 8
Wasserburg – Gars – Mühldorf – Marktl – Simbach – Branau
La città dal nome d’acqua porta la pioggia, sia durante la notte, sia al nostro risveglio.
Decidiamo di procedere comunque, indossiamo i kway e proteggiamo le borse con le protezioni antipioggia. Dopo 1 km già ci perdiamo, ad un bivio, io e Rik andiamo verso lo sterrato lungo il fiume, gli altri chissà!
Facciamo circa 20-25 km di pista molto divertente, inzuppandoci d’acqua e di freddo, fermandoci a ripararci in una casupola di legno forse riparo per chi aspetta l’autobus.
Arrivati a Gars, ci ripariamo nel bar / pasticceria della stazione; per scaldarci un po’ due the caldi a testa. Siamo gli unici, tutti gli altri trangugiano birra a volontà. Tergiversiamo nel negozio di birre attiguio, attendendo che spiova. Nel frattempo ci raggiungono Marisa, Paola ed Elena. Dopo un conteggio delle forze, Rik, Elena ed io decidiamo di prendere una scorciatoia in treno, mentre le altre proseguiranno eroicamente sotto la pioggia.
Risparmiamo circa 25 km e scendiamo a Mühldorf. La pioggia un po’ ci grazia, quindi via verso lo sterrato.
Ci concediamo una pausa in un giardino, forse orto didattico, dove capiamo la differenza tra forma e sostanza con delle bruttissime ma succose mele che diventano la nostra merenda.
La tappa successiva, tra una leggera pioggerella sopportabile, è a Marktl, città natale e museo del Papa Benedetto XVI, dove troviamo la casa del Papa, la birra del Papa, il museo, … e il fratello del Papa (così dice) che ci avvisa che le nostre amiche sono appena arrivate e sono al bar: ora, come fa a saperlo? o i poteri mistici si tramandano per fratellanza, oppure siamo tra i pochi cicloturisti della giornata!
Finalmente un po’ di strada asfaltata, la seguiamo fino a Simbach, dove le bici vengono premiate con una doverosa lavata all’autolavaggio, con la canna ad alta pressione.
Al telefono prenotiamo il vicino ostello, a Branau. Scopriamo che nelle altre stagioni è una scuola, invece d’estate oltre che ostello è anche centro sportivo, dove molte squadre di pallavolo femminili sono in ritiro!
Torniamo in centro a Branau per la cena, vediamo quella che probabilmente è la casa natale di Hitler, lo capiamo dal monumento all’olocausto posto davanti.
Come gran finale, Rik mi trascina di nuovo a Simbach, troviamo una festa di paese con musica rock dal vivo, birra buona, e un gruppo di ragazze che festeggiano l’addio al nubilato. Che volere di più?

Giorno 9
Branau – Schärding – Passau
La mattina scorre veloce lungo questo tratto ampio del fiume, possiamo scegliere di percorrere la sponda austriaca o tedesca, la ciclabile è ben segnata da entrami i lati.
La fame si fa sentire, non vediamo l’ora di arrivare alla tappa prefissata per il pranzo, Schärding. La cittadina si trova al di là del fiume, oltre al ponte, si intravede la rocca sulla quale è stata fondata.
Ci rilassiamo passeggiando per le vie del centro e per l’ampia e colorata piazza con le case strette e multicolori, dove si tiene il mercato dell’antiquariato. Mangiamo al parchetto e assaporiamo delle birre della fabbrica datata 1590.
Risolviamo la riparazione della camera d’aria della bici di Marisa all’attrezzatissimo punto di riparazione bici, che ha tanto di distributore automatico di camere d’aria e accessori vari!
Riprendiamo le bici e attraversiamo un tratto paludoso, dove ci sono le torrette per il birdwatching.
Più avanti su delle falesie troviamo i free-climbers che si esercitano.
Ormai siamo quasi arrivati alla meta, l’euforia inizia a farsi sentire, facciamo gli scemi ad un parchetto, sui giochi dei bambini, scattiamo qualche foto sulle auto giocattolo.
La vista dei cartelli con la scritta “Passau” ci dà forza e sorrisi. Percorriamo l’ultimo tratto del lungofiume che porta alla confluenza dell’Inn nel Danubio con passo solenne, cantando e girando dei vide di ricordo.
All’arrivo tratteniamo un attimo il fiato ammirando lo spettacolo dei due fiumi che si abbracciano, si toccano, ma le cui acque non si mischiano se non dopo qualche chilometro, i loro colori uno più marrone l’altro più azzurro mantengono una netta linea di separazione, che poi si confonde all’orizzonte.
Ci scateniamo in foto e riti scaramantici, Cits bacia terra, qualcuno rischia di cadere con le bici in acqua, aggiungiamo una strofa alla canzone per commemorare l’evento.
I km sono 66.64 oggi, quasi 600 in totale.
Ora iniziamo a guardarci intorno. Da qui si vede bene il castello che domina la sponda sinistra, dentro il quale sta l’ostello. La posizione è magnifica, non vediamo l’ora di ammirare la vista da lassù.
Scatta l’ultima tappa, con salita del 22%, più 5 piani a piedi nella torre del castello, dov’è la nostra camera!
Festeggiamo con una cena in uno dei pochi locali aperti la domenica sera. Anche il locale che una delle nubilanti mi ha segnalato ieri è chiuso, peccato! Decidiamo che al ritorno vogliamo evitarci di rifare la salita, quindi cerchiamo di telefonare ad un taxi, parlando poco tedesco e inglese da una cabina a gettoni, altro che web 2.0!
Nell’attesa, ammiriamo il palazzo comunale con indicate le tacche delle alluvioni nei vari secoli, non sapendo ancora che fra neanche un anno avrebbero dovuto aggiungerne una!
Di notte, nell’ostello, facciamo il bucato nella lavatrice a gettoni, per avere finalmente dei vestiti puliti per i giorni a venire.

10, Passau e divisioni, Rohrbach
Rik deve suo malgrado tornare, lo accompagnamo malinconici alla stazione. Una bionda ci dà indicazioni per trovare la stazione, ma la qualità delle indicazioni ci permette di aggiungere una strofa alla nostra versione di “serenità”: chiedi alla bionda sbagliata, e perdi mezza giornata…
Per me è tempo di sistemare un po’ la bici e i bagagli, mi fermo da un validissimo ciclista nel centro, sulla sponda del danubio, che mi sistema il cambio (deragliatore anteriore), la luce, compro i ricambi per i supporti delle borse (che torneranno utili sulle strade sterrate ceche) ed un campanello per fare folklore.
Un’altra sosta al mediamart mi permette di archiviare le troppe foto su una chiavetta usb e liberare la macchina fotografica.
Torno in stazione giusto in tempo per salutare le ragazze che partono per continuare la ciclovacanza da innsbruck verso casa, attraversando il brennero.
Passo un’oretta su internet a consultare le mappe, chattare con mia cugina e il mitico Paolo dalla Scozia. Alla fine ho deciso dove andrò. Da una fornitissima libreria recupero la mappa Bikeline della Moldau Radweg che spiega in dettaglio la strada verso Praga.
Lascio Passau nel primo pomeriggio, per 50 km lungo il Danubio, su una ciclabile che è affollatissima di cicloturisti, famiglie, coppie e solitari, posti di ristoro, punti di riparazione.
Attraverso il fiume (verso sud) su di una barchetta, proprio nel punto dove c’è la famosa ansa fotografata da tutto il mondo http://www.panoramio.com/photo/13616845 . Alla base della salita per il punto panoramico, tra i vari ciclisti, noto due americani che stanno viaggiando su due folding bike fully loaded!
Dopo qualche km ancora in sella, una seconda barca mi riporta sulla sponda nord, da Kobling a OberMuhl.
Una serie di salite per circa 16 km mi porta fino a Rohrbach. Arrivo parecchio stanco ad un alberghetto carino, una cameriera con simpatie per i cicloturisti mi offre una camera scontata a 30 euro, accetto volentieri! A cena, altri suoi conoscenti indovinano che sono italiano dai miei sandali SENZA calzini! 😉

ToBeContinued…

besancon – manosque, giro in bici in francia, alta provenza, giugno 2012

Alla fine abbiamo deciso di andare in Francia. Era iniziato tutto con l’idea di discendere in canoa il fiume Moldava, dal lago Lipno Dam (přehrada Lipno) attraverso Český Krumlov, České Budějovice e più a nord possibile. Le previsioni del tempo pessime ci hanno costretto a cercare mete alternative, tra cui: il Po, sempre in canoa, oppure la sardegna in bici. Con il nostro solito tempismo, lunedì sera scartiamo ogni ipotesi impossibile e restiamo con quella più sensata. La Francia dell’alta provenza ci riserverà ottime sorprese e tanta fatica!
Percorso ideale: da Briancon a Marsiglia, passando per il Verdon e i suoi canyon.

Martedì 12 Giugno 2012
Riccardo mi passa a prendere in auto martedì mattina, smontiamo le bici e le infiliamo nei posti posteriori, subito via verso la val di Susa. A Susa ci fermiamo per pranzare, con il salame che ho portato da Mirandola, e anche un chilo di formaggio grana terremotato (6 mesi di stagionatura) che ci fornirà spesso i grassi necessari per pedalare.
Arrivati a Briancon, lasciamo l’auto in un parcheggio e rimontiamo le bici. Un salto al supermercato per prendere un po’ di viveri e la crema solare, quindi si parte per la prima breve tappa verso sud.
Ci fermeremo verso ora di cena, alle 8, a seconda di quanto stanchi saremo. Questo è il proposito di base della vacanza, non abbiamo stabilito delle mete quotidiane, la mappa dettagliata ancora non l’abbiamo, solo il mio gps con le mappe della Francia: ci rimane quindi da navigare a vista, seguendo il percorso del fiume Durance.
Spesso ho pensato che seguendo un fiume da monte a valle si debba andare in discesa, purtroppo le strade che costeggiano i fiumi non sono sempre pensare per minimizzare la fatica dei ciclisti. Ci troviamo così già nei 30 km del primo giorno ad affrontare 300 m di salite, tanto per scaldarci!
Non c’è una vera e propria ciclabile, percorriamo a tratti la statale, per poi deviare sulla destra verso una strada secondaria con scarso traffico, tra i tornanti.
Passiamo per l’Argentiere, vediamo un po’ di gente che ha appena finito di fare canyoning e/o rafting, intuiamo che ci debbano essere già delle belle vie d’acqua. Un fornito negozio di articoli sportivi ci dà il numero di telefono di un paio di organizzatori di rafting, però non riusciamo ad organizzare una discesa, non c’è disponibilità almeno fino a venerdì, se ne riparlerà nel Verdon.
Arriviamo ad un campeggio su uno splendido laghetto, sotto una rocca, a La Roche de Rame.

lago a La Roche de Rame

Altro giro di salumi e formaggi e un risotto agli asparagi per rinfrancarci, poi dopo un rapido giro per il paesino deserto, ci ripariamo dal freddo dentro il ristorantino in riva al laghetto, a berci un calice di vino guardando una partita dell’europeo.

Mercoledì 13, giorno 2
Dopo una colazione con caffè solubile e biscotti, iniziamo il nostro tour verso il lago di Serre-Poncon. Ci fermiamo per un caffè vero al baretto, una pessima notizia al telefono ci rovina un po’ la giornata. Cerchiamo una strada non trafficata e finiamo in una via di servizio della ferrovia. Ad un certo punto siamo costretti a passare nel tunnel ferroviario, ma dopo un po’ di indecisione, decidiamo che la linea forse è ancora attiva e che prenderci un treno in fronte non ci piace, quindi torniamo indietro verso la statale.

lungo la ferrovia

lungo la ferrovia

Facciamo due chiacchere in mezzo italiano – mezzo francese con un signore anziano che a suo tempo ha macinato parecchia strada in bici, lo salutiamo allegri.
Troviamo una deviazione ciclabile che ci porta ad una splendida vista del lago, sulla strada che costeggia a nord, con la prima salita impegnativa, per poi goderci la discesa e attraversare il ponte verso la sponda sud. Vediamo i kate-surfers e wind-surfers nel lago che si divertono.

lago di Serre-Poncon

lago di Serre-Poncon

Dalla costa sud, a Savines le Lac proseguiamo verso un’altra salita che ci porta al punto panoramico di Le Sauze du Lac, poi un’altra divertente discesa fino all’estremo ovest del lago, da dove si risale sull’altra sponda, verso Saint Vincent, Un’ultimo sforzo ci permette di scollinare e arrivare al campeggo di Saint Jean. La reception è chiusa, ma mentre ci beviamo una birra contrattiamo lo stesso un posto per la notte, fredda e umida. Andiamo a dormire un po’ stanchi, forse per questo motivo non riordiniamo i viveri.
Saranno ormai le 6 del mattino, quando un picchiettio mi sveglia, esco malvolentieri dalla tenda per capire cosa succede e scopro un uccellaccio che sta mangiano i nostri viveri, il salame di Mirandola! Se lo acchiappo mi mangio il volatile con tutte le piume!

 

Giovedì 14, giorno 3
Ci alziamo un po’ infreddoliti e cerchiamo un angolo di sole per scaldarci. Affrontiamo la breve pianura di Seyne fino alla salita per la sella, vogliamo andare nella valle adiacente.
I cartelli per i ciclisti con la pendenza, anche del 13%, non sollevano certo il morale.

Col du Fanget

Scolliniamo al col du Fanget, 1459m, poi arriva il premio: quasi 40 km di discesa, senza toccare i pedali quasi fino a Dignes.
Attraversiamo un canyon stupendo, la valle si chiama “la vallee du Bes” (Bes presumo sia il fiume che vi scorre).
La strada si snoda tra gli stretti passaggi nella gola del fiume, a volte passando in brevi gallerie, sotto dei tetti di roccia, tra le montagne di origine metamorfica che mostrano le loro incredibili incurvature. Ad un attento esame si potrebbero notare altre meraviglie (questa zona è riserva geologica ). L’aspetto ricorda la strada panoramica di Tremosine, sul lago di Garda, oppure quella per Selvino (BG).

la vallee du Bes

Arriviamo a Dignes les Bains , capoluogo della provincia dell’alta provenza. Solo una breve sosta, nel centro alberato, poi una breve passeggiata per questa cittadina che ricorda un po’ quelle della provincia ligure, per le forme delle case e le strette vie. Proseguendo, passiamo per il bellissimo lido artificiale che è stato costruito accanto al fiume; peccato averlo visto tardi, avremmo gradito molto volentieri un bel bagno rinfrescante!
Finita la lunga discesa, ricominciamo a pedalare un po’ più seriamente, il punto più basso è a 540 m, a fine serata arriveremo a 1000 per poi riscendere!
Dopo le meraviglie del canyon precedente, la giornata ci sembra molto meno ricca di emozioni. Per carità, la campagna è bellissima, ma niente di paragonabile alle viste precedenti. Fatichiamo sotto il solleone del pomeriggio, fino a Moriez, dove sotto un platano ci rifocilliamo con le ultime brioches prima della salita finale, che ci porterà finalmente a vedere il lago del verdon, Lac de Castillion, dalla sua località più a nord, Saint Andrè les Alpes.
La fatica si fa sentire, invece di un campeggio ci attira molto di più la chambre d’hotes (b&b) che sembra chiamarci come le sirene i marinai.

chambre d’hotes, Saint Andrè les Alpes

Sarà un’ottima scelta, signori simpatici, posto molto curato, un giardino con le mangiatoie per gli uccelli e i roseti, con colazione a 25€ a testa! Quasi come il campeggio! La signora in una lingua franca (mai parola fu così appropriata) ci consiglia di cenare nel bar centrale, che si rivela frequentato sia dagli avventori di paese sia dai pochi turisti inglesi, qui probabilmente per lo sport del luogo, il parapendio, di cui il paese ospita i mondiali 2012.

Venerdì 15, giorno 4
Dormire in un letto fa un gran bene ogni tanto! Ci svegliamo riposati e la colazione abbondante dei nostri ospiti ci mette di buon umore. Salutiamo la gentile coppia e ci prepariamo alla tappa del Verdon.
Percorriamo le sponde del Lac de Castillion, bacino artificiale formato dalla diga ominima, che alimenta il Verdon e anche d’estate, grazie all’apertura periodica delle chiuse, permette varie attività acquatiche, canyoning, rafting ecc. Incontriamo sul percorso vari studiosi o appassionati di geologia, con i martelletti e quaderni, in questa che è riserva geologica.

Lac de Castillion

Alla diga, parliamo con una coppia olandese che è in vacanza per due settimane, camper e bici al seguito. Foto di rito sulla diga e sulle acque color smeraldo del lago. Ci sono stato l’ultima volta nel 1997 ma mi sembra ieri.
Arriviamo in discesa fino alla splendida cittadina di Castellane, anche questa nei miei ricordi, dove ci rinfreschiamo con una birra, della frutta e dei panini. Veloce riposino nel parco sotto la rocca (dolmen of Pierres Blanches) e si riparte alla volta del Verdon.

Castellane

Costeggiamo per un po’ il fiume, fino a dove la strada si biforca, dobbiamo scegliere tra il lato destro (nord) e quello sinistro (sud). Durante una veloce sosta per rinfrescare i piedi nel fiume, decidiamo di andare verso sinistra.
Ci allontaniamo allora un po’ dal fiume e andiamo verso Trigance, paese medioevale su di una rocca. Qui inizia una impegnativa salita che ci porta dal livello più basso di oggi, circa 650m, a 1027m. Vediamo finalmente il cartello “gorges du verdon”.
Da qui inizia il paesaggio più bello della vacanza.

Trigance

La discesa verso le gorges è caratterizzata dalla vista sullo spettacolare canyon, il fiume scorre circa 700 m sotto di noi, alcuni dei punti panoramici sono tra i più fotografati della zona dell’alta provenza, la terrazza panoramica sul gomito del verdon, il ponte ad arco, difficile per chi soffre di vertigini, le terrazze in galleria.

pont de Chaulière

galleria

verdon

Incontriamo un cicloturista tedesco di Erding (Monaco), Martin, che con la sua tecnicissima bici ha quasi finito la sua vacanza di 3 settimane dall’atlantico al mediterraneo. Ci annuncia che ci toccano ancora 300m di salita (saranno quasi 500, da 800 a 1274m di quota) prima di arrivare alla discesa per il lago artificial Sainte-Croix-du-Verdon (Lac de Sainte-Croix).
Arriviamo molto provati al campeggio “camping de l’aigle“, dove dopo cena io provo a distinguere le costellazioni in una stellata da sogno, mentre rik si abbiocca pesantemente !

Sabato 16, giorno 5
Ci svegliamo riposati dalla notte in tenda, il clima mite stavolta ci permette di dormire di gusto. Prendiamo un caffè al bar del campeggio, dove conosciamo una turista francese che ci chiede consigli sulle camminate del Verdon, la coraggiosa vuole andarci in solitario!
Partiamo ma subito ci fermiamo al paese di Aiguines a prendere dei croissant. Proseguiamo in discesa verso le rive del lago de Sainte-Croix, fino alla foce del verdon, che è davvero splendida. Dal ponte sul fiume, ammiriamo le sue acque smeraldo e una vista spettacolare sulla parte finale del canyon.
La salita successiva sarà abbastanza impegnativa, non tanto lunga come dislivello ma con pendenze anche del 13%. Intervalliamo la fatica con una sosta al paese di Moustiers Sainte Marie, che è un bellissimo borgo medievale, oggi che è sabato è preso d’assalto dai turisti. Le sue vie mi ricordano un po’ i paesi del lago di garda, soprattutto Malcesine. Consiglio vivamente una visita al borgo!

Moustiers Sainte-Marie

Tornati in sella, scolliniamo, incrociando altri cicloturisti fully loaded. Il viaggio scorre poi attraverso i campi di lavanda, di papaveri e di grano, con i loro profumi e i colori viola rosso e oro che sono caratteristici della alta provenza. Negli occhi abbiamo ancora i ricordi del verdon, non godiamo appieno della bellezza che ci si para davanti.
Una veloce sosta pranzo al borgo di origine romana di Riez, con la sua caratteristica pianta a croce e le mura, e poi un’altra per una birra e una puciata di piedi rinfrescante nella fontana di Allemagne en Provence.

Allemagne en Provence

Sempre circondati dai campi in fiore, giungiamo alla fine della valle, per girare in direzione nord ovest verso Manosque, che è il punto più comodo per prendere il treno per tornare a Briancon. Arriviamo verso le 18 al campeggio municipale della città, e lasciamo le bici per una passeggiata nel centro. Inaspettatamente, la città si rivela molto bella, un altro borgo medievale con le mura e le porte dell’epoca, anche se alcune sono ricostruite in epoca recente. Le sue piazzette e strade strette ricordano un po’ le città marocchine o il centro di genova. Ceniamo in un ristorantino di una donna algerina che ci cucina un ottimo cous-cous, poi una birra di festeggiamento nella brasserie del centro dove tutti fanno baldoria. Davvero un gioiellino di città, peccato per il parcheggio selvaggio!

All good things come to an end, diceva il proverbio, forse per questo sono più belle, devo dire che questo giro improvvisato si è rivelato molto gradevole, faticoso ma mi ha lasciato sensazioni che voglio ricordare a lungo. Grazie all’amico di avventure Rik, sempre disponibile alle zingarate e fido compagno di viaggi!
Alla prossima!

Manosque stazione

 

selezione delle foto: http://www.gambaraalcoolica.it/gallery3/index.php/Bici-Francia-e-Verdon-2012

tracciato dettagliato, dal gps: http://goo.gl/maps/nGXG

vogalonga 2012

Iniziamo con alcuni link

percorso (della mia barca): su google maps / su google earth

foto:

cits in partenza

alla fine si parte, certo che se per andare in ferie si deve lavorare il doppio prima e dopo, mi viene da pensare che non ne valga la pena.
Quando torno so che ne vale sempre la pena.
L’unico peccato, lasciare Milano nel suo massimo splendore, deserta, vivibile, clima perfetto.
Il ciclista che è in me ne soffre, ma sia, andiamo all’avventura.
A presto.
Cits